La cooperazione internazionale sul fronte dell’accertamento e della riscossione delle imposte si sta evolvendo rapidamente e dal punto di vista degli strumenti utilizzabili e con riferimento alla latitudine di utilizzo delle informazioni.
In questo contesto, la possibilità del “travaso” di informazioni provenienti da Amministrazioni estere dalla dimensione fiscale a quella penale deve essere attentamente vagliata, sia alla luce delle disposizioni convenzionali che contemplano i limiti di utilizzo da parte dello stato richiedente che alla stregua delle rilevanti implicazioni sistematiche che entrano in gioco nel passaggio dal circuito dell’istruttoria amministrativa a quella del procedimento penale.
International cooperation on the assessment and collection of taxes is developing rapidly, both in terms of the instruments that can be used and in terms of the latitude of the use of information.
In this context, the possibility to “transfer” information transmitted by foreign tax authorities from the tax to the criminal dimension must be carefully examined, both in the light of the treaty provisions that contemplate the limits of use by the requesting State and in the light of the relevant systematic implications emerging in the passage from the circuit of administrative investigations to that of criminal proceedings.
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1. La recente, poderosa implementazione della normativa in tema di scambio di informazioni - 2. Il perimetro di utilizzabilità delle informazioni scambiate: considerazioni generali - 3. L’utilizzabilità ai fini penali dello scambio di informazioni tra autorità fiscali con riguardo ad alcune convenzioni contro la doppia imposizione (Nuova Zelanda, Regno Unito, Australia) - 4. Ratio ed effetti dei limiti di utilizzazione - 5. I limiti di utilizzo secondo il commentario OCSE: l’ambiguità in ordine ai reati tributari - 6. La nozione di informazione - 7. Tax Information Exchange Agreements (TIEAS) e utilizzabilità ai fini penali - 8. Un esempio di TIEA stipulato dall’Italia: lo scambio di informazioni con il Principato di Monaco - 9. Decorrenza temporale dello scambio di informazioni e riflessi in ordine alla qualificazione come Paese white list - 10. Brevi considerazioni riepilogative - NOTE
È nota la decisa implementazione attuata sul versante dello scambio di informazioni, oggi in essere non solo con i Paesi tradizionalmente collaborativi, ma anche con quelli che si sono più recentemente adeguati a standard di trasparenza incrementati al fine di evitare l’inserimento da parte dell’OCSE nella c.d. black list [1]. Sotto la pressione dell’OCSE numerosi Stati in passato recalcitranti alla collaborazione sono usciti dalle liste che li etichettavano come paradisi fiscali [2]: un punto chiave nell’adozione dello standard internazionale di collaboratività fiscale, così come delineato dall’OCSE, è consistito nell’adozione di almeno 12 convenzioni bilaterali che prevedessero espressamente una clausola di scambio di informazioni analoga all’art. 26 del Modello OCSE o, in alternativa, stilate sulla falsariga del più agile Modello di convenzione specificamente finalizzato allo scambio di informazioni elaborato dal Global Forum dell’OCSE [3]. Con la minaccia di subire ingenti sanzioni, i Paesi originariamente esclusi dalla white list hanno intrapreso una vera e propria “corsa” alla stipulazione degli accordi per raggiungere il limite minimo di 12 [4]. Il raggiungimento di tale traguardo ha permesso il passaggio dal “purgatorio” della gray list all’agognata qualificazione di Paese white list. Per rendersi meglio conto dell’intensità del fenomeno, dal 2000 al 2013 i Tax Information Exchange Agreements sottoscritti sono passati da 1 a 518, raggiungendo picchi di 197 nel 2009 e di 200 nel 2010. Il raggiungimento della qualifica di Stato collaborativo, sicuramente espressivo di un cambiamento epocale, non può tuttavia costituire il punto d’approdo nella lotta gli ordinamenti opachi [5]. In primo luogo, molti di questi accordi sono stati stipulati tra Paesi precedentemente inseriti nella black list e non invece con le Amministrazioni Finanziarie dei Paesi a fiscalità ordinaria. Inoltre, l’obbligo di scambiare le informazioni detenute non garantisce che lo Stato che si è impegnato in tal senso detenga effettivamente dette informazioni ed abbia un efficiente sistema per la loro acquisizione e raccolta. Si pensi, ad esempio, ad ordinamenti connotati da ridotte [continua ..]
Non v’è dubbio che lo scopo dello scambio di informazioni, e di conseguenza l’impianto delle norme a ciò proposte, sia andato progressivamente ampliandosi. In origine, l’utilizzo di dati e notizie provenienti dalle amministrazioni estere era concepito come esclusivamente funzionale alla corretta applicazione delle convenzioni contro la doppia imposizione (c.d. minor information clause, come concepita nel modello OCSE del 1963); oggi, all’esito di un progressivo ampliamento, lo scopo dello scambio si è esteso alla prevenzione dell’elusione e dell’evasione fiscale internazionale (c.d. major information clause) [7] e tende progressivamente ad abbracciare i nuovi settori della collaborazione nella riscossione e dell’acquisizione di notizie da impiegare per verificare non solo il corretto adempimento da parte dei contribuenti nazionali in ordine a redditi prodotti all’estero o capitali ivi detenuti, ma altresì per contrastare l’evasione penalmente rilevante ed i fenomeni di riciclaggio ed autoriciclaggio [8]. Di pari passo, anche gli strumenti adottati sono proliferati, ad esempio con la diffusione, in aggiunta allo strumento classico delle convenzioni contro le doppie imposizioni, di accordi focalizzati sul tema dello scambio di informazioni, di natura bilaterale (cosiddetti TIEA) [9] o multilaterale (Mutual Administrative Assitance in Tax Matters, c.d. MAAT) [10]. Fino ad arrivare, quale modello più spinto di collaborazione fiscale aggressiva, ai cosiddetti Fatca (Foreign Account tax Compliance Act), i quali obbligano banche ed altri simili istituzioni di deposito e di custodia a comunicare all’Amministrazione fiscale del Paese di residenza (affinché questa li trasmetta a quella americana) [11] o direttamente a quest’ultima notizie su conti correnti e investimenti riconducibili a cittadini statunitensi; accordi almeno inizialmente rivoluzionari in quanto tesi a stabilire un rapporto diretto tra l’intermediario finanziario straniero e l’Amministrazione fiscale americana [12]. Ebbene, a fronte del proliferare degli strumenti idonei all’acquisizione di informazioni da Amministrazioni estere e del progressivo ampliamento degli scopi sottesi allo scambio, merita fare il punto su un profilo di essenziale rilevanza nell’ottica della [continua ..]
Come è noto, larga diffusione ha avuto nel tempo l’adozione da parte degli stati di convenzioni ispirate al modello OCSE, in seno alle quali lo scambio di informazioni è di regola disciplinato dall’art. 26. Si tratta di una disposizione che nel tempo ha avuto una rilevante evoluzione, sia per quanto riguarda il testo base del modello che le specifiche versioni adottate dai Paesi contraenti che ad esso si sono ispirate [16]. Ai nostri fini, è senz’altro preferibile affrontare il problema sulla base di alcune disposizioni pattizie in vigore, che come è noto possono divergere dalla clausola tipo del modello per varie ragioni, connesse all’epoca della stipula o all’espressa volontà degli stati contraenti. Per affrontare la questione in modo più concreto si procederà dunque ad analizzare alcune norme che prevedono lo scambio di informazioni contenute in convenzioni contro la doppia imposizione che l’Italia ha stipulato con altri Paesi. Prendiamo ad esempio le seguenti disposizioni: a) l’art. 25 della Convenzione fra Italia e Nuova Zelanda, firmata a Roma il 6 dicembre 1979, ratificata con L. 10 luglio 1982, n. 566 ed entrata in vigore il 23 marzo 1983; b) l’art. 26 della Convenzione fra Italia ed Australia, firmata a Canberra il 14 dicembre 1982, ratificata con L. 27 maggio 1985, n. 292 ed entrata in vigore il 5 novembre 1985; c) l’art. 27 della Convenzione fra Italia e Regno Unito, firmata a Pallanza il 21 ottobre 1988, ratificata con L. 5 novembre 1990, n. 329 ed entrata in vigore il 31 dicembre 1990. Ai sensi dell’art. 25, comma 1 della Convenzione tra Italia e Nuova Zelanda, «le informazioni ricevute da uno Stato contraente saranno tenute segrete [...] e saranno comunicate soltanto alle persone od autorità (ivi compresa l’autorità giudiziaria e gli organi amministrativi) incaricate dell’accertamento o della riscossione delle imposte previste dalla presente Convenzione, delle procedure o dei procedimenti concernenti tali imposte, o delle decisioni di ricorsi presentati per tali imposte». A prima vista il tenore della disposizione, sostanzialmente identica a quella delle Convenzioni con il Regno Unito e con l’Australia, solleva un dubbio interpretativo. Tra le persone e le autorità alle quali le informazioni possono essere comunicate sono comprese [continua ..]
Chiarito tale profilo, attinente all’interpretazione della disposizione convenzionale, si tratta ora di comprendere se la conclusione di cui sopra oltre che in linea con la lettera della legge, sia anche supportata da valide argomentazioni sistematiche. Ebbene, a noi pare che da un punto di vista sistematico il problema di un uso delle informazioni diverso da quello tradizionale per il quale è stato concepito – in sostanza l’accertamento e le altre procedure tese al recupero delle imposte – non debba essere affrontato mettendo l’accento sull’oggetto – le imposte appunto – quanto piuttosto sulla diversità dei circuiti – amministrativo o penale – nei quali le informazioni scambiate sono destinate ad essere immesse. Lo scambio di informazioni in sede amministrativa comporta un’utilizzazione dell’informazione destinata in ultima istanza all’istruttoria per l’accertamento dei tributi, e dunque ad uno scopo potenzialmente in grado di incidere sulla sfera patrimoniale del soggetto, chiamandolo se del caso ad una maggiore contribuzione. Gli standard e le tipologie di garanzie che ciascuno ordinamento garantisce al contribuente in questa fase della raccolta di elementi istruttori sono dunque atteggiati alla stregua dei due diversi interessi sul piatto della bilancia, quello alla riscossione dei tributi, da un lato, e quello della libertà della sfera patrimoniale individuale dall’altro. Diverso, e di grado costituzionalmente più incisivo, il tenore degli interessi che si fronteggiano rispetto all’utilizzazione in sede penale, ove entrano in gioco da un lato la necessità di reprimere comportamenti espressivi di forte disvalore rispetto alla pacifica convivenza e dall’altro la tutela della libertà personale. Confondere i due piani, consentendo che elementi acquisiti ai fini e con le modalità proprie dell’uno (l’istruttoria preordinata all’accertamento dei tributi) possono essere travasati nel processo penale, addirittura in assenso del consenso dello Stato che trasmette il dato, finirebbe per consentire un upgrade in un circuito diverso e nel quale vengono in considerazione valori ed esigenze sistematiche differenti. Si pensi, per capire l’impatto concreto del problema, che sovente i dati trasmessi [continua ..]
Le convenzioni che abbiamo esaminato sono state concluse tra gli anni ’70 e ’90. Possiamo dunque verificare se l’evoluzione della clausola sullo scambio di informazioni, modificata nel 2012, ed il relativo commentario aiutano a risolvere il problema. Il commentario, nella versione aggiornata al 2002, osservava che le informazioni ottenute da uno stato contraente possono essere utilizzate da tali persone o autorità solo per gli scopi indicati nel par. 1 dell’art. 26, aggiungendo poi che «se le informazioni appaiono di interesse per lo stato ricevente per altre finalità, oltre a quelle indicate, detto Stato non potrà utilizzarle per queste altre finalità ma dovrà ricorrere agli altri mezzi specificamente designati a tale scopo (ad esempio, in caso di reato non tributario, dovrà invocare una convenzione sull’assistenza giudiziaria)». In sostanza, si ribadisce che l’utilizzo è limitato e che occorre autorizzazione per eccederne i confini, ad esempio nel caso di reati non tributari. Ebbene, proprio quest’ultimo esempio è ambiguo: non si capisce infatti se, a contrario, l’uso nei procedimenti per reati tributari è in ogni caso consentito dall’art. 26. Nel 2012 l’art. 26 è stato modificato [26], introducendo un ultimo periodo al par. 2: «Nonostante quanto precede, le informazioni ricevute da uno Stato contraente possono essere utilizzate per altri fini quando le medesime informazioni possono essere utilizzate per tali altri fini ai sensi della legislazione di entrambi gli Stati e l’autorità competente dello Stato che fornisce tali informazioni ne autorizza l’utilizzo». Si ammette, quindi, l’utilizzo delle informazioni in altri ambiti ma lo si subordina ad una autorizzazione espressa dello Stato che quelle informazioni ha trasmesso. Ebbene, il Commentario, dapprima sottolinea che tale nuovo paragrafo «consente la condivisione di informazioni fiscali da parte delle autorità fiscali dello Stato ricevente con altri organi di polizia o autorità giudiziarie in quello Stato su certe materie rilevanti», in subordine alla formulazione di una richiesta in tal senso da parte dell’autorità richiedente ed al consenso espresso dell’autorità richiesta (par. 12.3); immediatamente dopo riporta quali esempi di ulteriori finalità [continua ..]
È opportuno chiarire altresì quale sia la nozione di informazione. Secondo un’interpretazione letterale oggetto del divieto sarebbero solo le informazioni, intese come note redatte dall’Amministrazione Finanziaria estera che danno conto delle attività istruttorie svolte e del loro esito. Viceversa i documenti veri e propri (fatture, estratti bancari, verbali societari) non qualificabili come informazioni essendone semmai il mero contenitore, rimarrebbero esclusi dalle limitazioni e dunque il loro regime di utilizzabilità potrebbe essere più ampio e con esso la circolazione anche tra autorità non tributarie dei medesimi documenti. In realtà l’elaborazione internazionale consolidata in seno all’OCSE in merito all’effettiva portata del termine “informazioni” (“Manuale dell’OCSE sull’attuazione delle norme sullo scambio di informazioni a fini fiscali” del 2006) illustra, anche con esempi, in che modo i due Stati tra i quali intercorre il flusso informativo devono comportarsi al fine di prestarsi la più efficace cooperazione secondo le pertinenti convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni. Al riguardo, si tratta esplicitamente il caso (par. 18) in cui le informazioni scambiate consistano in documenti e, ai fini della traduzione, si specifica che «se documenti come contratti sono acclusi e non possono essere tradotti, le parti rilevanti di questi documenti devono essere evidenziate» dall’autorità trasmittente. Significativa, poi, la lista-tipo di ciò che dovrebbe essere incluso nella risposta ad una richiesta di scambio di informazioni: vi figura infatti «l’informazione richiesta, incluse copie dei documenti (ad es. verbali, contratti, fatture)» L’OCSE, nell’interpretare la latitudine della nozione di informazione ai fini dell’applicazione della disciplina sullo scambio di informazioni, equipara espressamente ad essa i documenti, i quali quindi non solo fanno parte a pieno titolo della nozione medesima ma proprio per questo possono essere utilizzati negli stessi limiti imposti dalla disciplina convenzionale.
I Tax Information Exchange Agreements (TIEAs) sono trattati di diritto internazionale fra due Stati che predispongono una disciplina giuridica per la procedura amministrativa di scambio di informazioni in materia tributaria. Attualmente ve ne sono oltre 500 in vigore e sono generalmente basati sul già citato Model agreement on exchange of information on tax matters, elaborato dall’OCSE il 18 aprile 2002, il quale costituisce una sorta di “estrapolazione” in un trattato ad hoc della clausola prevista dall’art. 26 del Modello OCSE nel più ampio contesto degli accordi contro la doppia imposizione. Si tratta di uno strumento pattizio particolarmente snello (rispetto alla stipulazione di un Trattato contro la doppia imposizione) che esprime l’attuale prevalenza dell’interesse (statuale) a contrastare i paradisi fiscali e favorire la trasparenza delle informazioni rispetto all’interesse (del contribuente) di evitare la doppia imposizione. Il Modello Tiea contiene espliciti riferimenti alla problematica dei reati tributari. L’art. 1 precisa che il termine informazioni «include information that is foreseeably relevant to the determination, assessment and collection of such taxes, the recovery and enforcement of tax claims, or the investigation or prosecution of tax matters». Il successivo art. 4, lett. o) del Modello di Convenzione OCSE per lo scambio di informazioni, dispone che «the term “criminal tax matters” means tax matters involving intentional conduct which is liable to prosecution under the criminal laws of the applicant Party». Ancorando la definizione di criminal tax matters alla legge dello stato richiedente, implicitamente viene meno l’ostacolo della mancata previsione del fatto come reato nel Paese al quale l’informazione è richiesta: circostanza che può verificarsi di frequente nei trattati stipulati con ex paradisi fiscali, ove molte violazioni che per l’Italia sono reati, sono punite unicamente sul piano amministrativo. Di fatto, con questa precisazione, quindi, si elimina l’invocabilità del c.d. principio di “doppia incriminazione” (in inglese, dual criminality principle) dall’area dello scambio di informazioni in materia tributaria. Sempre secondo l’art. 4, lett. [continua ..]
Il nostro Paese ha concluso, dal 2011 ad oggi, undici accordi bilaterali sullo scambio di informazioni basati sul modello TIEA [27]. Il 4 febbraio 2017 è entrato in vigore quello con il Principato di Monaco, firmato a Monaco il 2 marzo 2015 e ratificato con L. 1° dicembre 2016, n. 231. Il Trattato, sia per la peculiarità del Paese con il quale è stato stipulato, a ridosso dei nostri confini ed in passato ritenuto un esempio di ordinamento non collaborativo, sia per il tenore delle clausole che lo contraddistinguono, ben si presta ad una ricognizione volta a coglierne l’impatto effettivo sull’implementazione dello scambio di informazioni. Come precisato dall’art. 1 (Oggetto e ambito di applicazione dell’accordo) le Autorità competenti delle parti contraenti si prestano assistenza attraverso lo scambio di informazioni verosimilmente rilevanti per l’Amministrazione e l’applicazione delle leggi interne delle parti contraenti relativamente alle imposte oggetto del presente accordo. Tali informazioni comprendono quelle verosimilmente rilevanti per la determinazione, l’accertamento e la riscossione di dette imposte, per il recupero di crediti fiscali e le relative misure di esecuzione oppure per le indagini o i procedimenti per reati tributari. Dunque il trattato include esplicitamente lo scambio di informazioni rilevanti per le indagini o i procedimenti per reati tributari; in proposito il successivo art. 4 (Definizioni) precisa alla lett. p) che «l’espressione reati tributari designa le questioni fiscali che implicano una condotta intenzionale che sia penalmente perseguibile ai sensi del diritto penale della parte richiedente” e alla successiva lettera q) che l’espressione diritto penale “designa tutte le leggi penali definite tali dalla legislazione nazionale indipendentemente dalla a loro inclusione nella legislazione fiscale, nel codice penale o in altri istituti». Il riferimento alla perseguibilità ai sensi del diritto penale della parte richiedente vale a superare la questione del doppio reato, mentre il riferimento alla intenzionalità della condotta limita essenzialmente il campo d’applicazione nel nostro ordinamento all’area dei delitti tributari, connotati per l’appunto da dolo. Il successivo art. 5, nel ribadire tale assunto, stabilisce che le informazioni sono [continua ..]
Interessante anche il profilo dell’efficacia temporale. Secondo l’art. 13, par. 1, l’accordo entra in vigore il giorno successivo alla data in cui le parti si siano notificate il completamento delle rispettive procedure necessarie all’entrata in vigore del presente accordo (4 febbraio 2017) ed avrà effetto per tutte le richieste concernenti atti, fatti, eventi o circostanze relativi al periodo che inizia dalla data della firma (12 marzo 2015). In sostanza, dal 4 febbraio 2017 Monaco scambia notizie concernenti fatti non anteriori al 12 marzo 2015. Orbene, con riferimento a tutte quelle disposizioni che aggravano la posizione del contribuente in relazione ad investimenti detenuti in Paesi opachi, una corretta interpretazione del trattato imporrebbe a nostro avviso di considerare il Paese collaborativo quantomeno dal 4 febbraio 2017, indipendentemente dall’aggiornamento dell’ormai inestricabile sistema di liste affidate a fonti secondarie o addirittura ad atti non normativi [28]. Diversamente opinando, infatti, si finirebbe per consentire al ritardo nell’emanazione di provvedimenti attuativi una sostanziale vanificazione degli effetti di un trattato. Non solo. Le disposizioni che contemplano un aggravio delle sanzioni applicabili si fondano sull’assunto che il contribuente che occulta capitali in un Paese non collaborativo confida nella difficoltà di accertamento da parte del fisco domestico, e dunque merita un trattamento deteriore in ragione della accentuata pericolosità del suo comportamento. In effetti, già a partire dalla data della firma del trattato questo tratto di pericolosità viene meno, giacché da tale momento è certo che l’accordo, già siglato, entrerà in vigore ed altresì che l’ambito di notizie scambiabili retroagirà al momento precedente la firma.
Non v’è dubbio che il veloce trend evolutivo dello scambio di informazioni corra nella direzione di ampliarne e facilitarne l’utilizzo. Restano tuttavia sul piatto rilevanti questioni, dense di implicazioni sistematiche: quella della possibilità di avvalersi delle informazioni in sede penale è una delle più interessanti sia sul piano teorico che applicativo. Una prima conclusione emerge con chiarezza: in difetto di esplicita autorizzazione dello Stato richiesto, è da escludere l’utilizzo in relazione a reati diversi da quelli tributari Per quanto concerne quest’ultimi, al momento solo i cosiddetti TIEAs contemplano clausole che inequivocabilmente consentono l’utilizzo delle informazioni per le indagini o i procedimenti per reati tributari senza bisogno di specifico consenso dell’altro Stato. Rispetto invece alle convenzioni contro le doppie imposizioni, la questione è dubbia, ed a nostro avviso da risolvere in senso opposto (ossia, necessità di una specifica autorizzazione) alla stregua di considerazioni fondate non sulla tipologia di reato (fiscale o meno), ma sulle garanzie che devono governare il travaso dalla materia amministrativa a quella criminale. Singolare, ed in qualche modo emblematica della rapidissima evoluzione in corso, la constatazione che la materia sia regolata in modo più chiaro e dettagliato negli accordi con gli Stati tradizionalmente ritenuti in passato meno collaborativi [29].