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La previsione di uno speciale regime IVA sulla pubblicità online – introdotta nel sistema tributario italiano nel 2014, ma poi subito accantonata – si è dimostrata una misura poco meditata, ma dalle condivisibili finalità.
L’intervento legislativo italiano è stato accantonato, ma il vulnus dell’economia digitale alla sovranità fiscale degli Stati resta un problema tanto grave da aver reso inevitabili le reazioni dell’Unione Europea, dell’OECD e del G-20.
In questa più ampia prospettiva, l’idea della “Google tax” italiana potrebbe essere ripresa, ma dovrebbe essere collocata nell’ambito delle iniziative dell’Unione Europea in tema di IVA sui servizi elettronici; più in generale, l’idea italiana dovrebbe essere coordinata con gli indirizzi dell’OECD e con le analoghe iniziative degli altri Paesi.
The Italian approach to taxation of the Web: a little meditated reform, but with fair purposes In 2014, Italy approved a special VAT regime on online advertising – shortly abolished following a heated discussion – which, although constitutes a little meditated discipline, undoubtedly has fair purposes.
The Italian reform has been repealed, but the vulnus of digital economy against States’ tax sovereignty remains a so severe problem that led to inevitable reactions from the European Union, the OECD and the G-20.
In this broader perspective, the Italian “Google tax” may be resumed, but it shall be devolved to EU prerogatives in the field of VAT applicable on electronic services. More generally, the Italian idea may be further developed in line with OECD guidelines and similar initiatives of other Countries.
Premessa
Il tentativo di introdurre in Italia la c.d. “Google Tax” ha suscitato grande interesse, non soltanto in Europa. La vicenda viene ben illustrata dal saggio di Cristina Trenta [1], che evidenzia l’inadeguatezza di tale intervento nazionale, i profili di criticità rispetto ai principi informatori del mercato unico europeo, l’eccentricità rispetto alle azioni promosse dall’OECD nel progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) [2].
Come è noto, ormai il poco meditato intervento legislativo italiano è stato accantonato e dismesso, ma il vulnus dell’economia digitale alla sovranità fiscale degli Stati resta un problema tanto grave, da aver reso inevitabili le reazioni dell’UE [3], dell’OECD [4] e del G-20 [5].
Sul piano giuridico risulta palese come il continuo ed inarrestabile sviluppo di internet, dei rapporti e dei contratti informatici, dia vita a problematiche sempre nuove nel sistema tributario, che soffre in quanto rigidamente imperniato sul principio di legalità.
Nonostante la tendenza al particolarismo ed alla settorialità, la legislazione tributaria resta sostanzialmente ancorata alle categorie giuridiche civilistiche ed alle fattispecie negoziali concepite in un periodo storico in cui non era ipotizzabile l’attuale assetto dell’economia digitale. Emerge quindi la difficoltà di ricondurre i diversi strumenti negoziali che si sono venuti a creare nel mondo di internet alle categorie civilistiche tradizionali, il ché crea notevoli ricadute sul sistema tributario.
Sono soprattutto la vis espansiva del commercio elettronico e lo sfruttamento pubblicitario della rete a porre problemi particolarmente complessi e rilevanti, laddove le transazioni si perfezionano direttamente nella rete, con l’attenuazione, dei collegamenti con il mondo fisico.
La prospettiva risulta preoccupante specie nel commercio elettronico diretto, in cui tutte le fasi dell’operazione si svolgono telematicamente (dalla conclusione del contratto alla consegna del bene). In tale ambito diventa difficile l’individuazione di criteri di collegamento personali, sia con riferimento alle parti fra cui si perfeziona il contratto, sia per quanto riguarda l’individuazione di criteri di collegamento reali, con riferimento alle attività produttive di reddito d’impresa. Peraltro nel ciberspazio si sviluppano anche molteplici attività differenti dal commercio elettronico strictu sensu, riconducibili alle categorie reddituali del lavoro autonomo, del lavoro dipendente, dei redditi da capitali, delle rendite finanziarie e dei redditi diversi, ma il vero core business risulta essere la pubblicità e lo sfruttamento commerciale dei profili (e dei dati personali) degli utenti [6]. [continua..]