Secondo un recente orientamento della Corte di Cassazione la rilevanza sanzionatoria delle condotte elusive non può essere esclusa a priori, dovendo essere preliminarmente accertata l’esistenza di un fondamento legislativo da cui poter ricavare, secondo un criterio di ragionevole prevedibilità, il confine oltre il quale il vantaggio fiscale conseguito deve intendersi non ammesso dall’ordinamento. Seguendo tale impostazione la Corte di Cassazione ha stabilito che nei casi in cui risulti applicabile una norma antielusiva oggetto di espressa codificazione legislativa, come nel caso dell’art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973, l’irrogazione di una sanzione deve considerarsi conforme al principio di legalità che, al contrario, dovrà intendersi violato ove la fattispecie elusiva sia stata accertata mediante la diretta invocazione del principio non scritto del divieto dell’abuso del diritto. Tuttavia, l’orientamento assunto dalla Corte di Cassazione, pur risultando condivisibile nell’obiettivo di riportare i termini della questione nell’ambito del contenuto del principio di legalità, non pare particolarmente soddisfacente; da un lato, stante la lasca formulazione delle norme antielusive generali (o quasi generali, come nel caso dell’art. 37 bis), non sembra che possa giungersi ad un pieno rispetto del principio di determinatezza ove la punibilità delle condotte elusive sia una mera conseguenza dell’applicazione di tali norme; dall’altro, l’introduzione di un “doppio binario” tra elusione codificata e abuso del diritto potrebbe condurre ad un uso del tutto discrezionale dello strumento sanzionatorio e favorire, altresì, irragionevoli discriminazioni tra fattispecie egualmente elusive. In un’ottica de iure condendo sembra, quindi, necessario un generale ripensamento della questione. A tal fine, anche traendo spunto dalle soluzioni adottate da alcuni ordinamenti stranieri, sembra preferibile un approccio che mantenga separati gli effetti della clausola antielusiva generale operanti ai fini dell’accertamento da quelli rilevanti sul piano dell’irrogazione delle sanzioni.
According to a trend expressed by the recent Supreme Court’s case law, a finding of tax avoidance may lead to a penalty if the elusive nature of the transaction may be ascertained with a reasonable predictability under a statutory rule. In the Court’s perspective, this means that if the assessment of tax avoidance is grounded on a statutory general anti-avoidance rule (GAAR), like the one provided by Art. 37 bis of Presidential Decree No. 600/73, then the application of penalties (even criminal penalties) shall be considered legitimate. On the other hand, if a transaction is considered elusive on the basis of the judicial doctrine of abuse of law, penalties shall not be applied, as this would break the rule of law. However, the Court’s interpretation appears unconvincing with reference to various aspects. On the one hand, GAARs are usually worded in broad terms and this may be in contrast with the principle of strict legality required for the application of penalties; on the other hand, the proposed “double-track” treatment of tax avoidance, depending on whether the assessment is based on a statutory GAAR or on a judicially-created rule, may lead to an excessive discretion in the application of penalties and, more generally, to an unreasonable discrimination between similar transactions. To this purpose, it is preferable to address this issue from a different perspective. In this respect, after an overview of several foreign legislations, the different approach that seems to be more appropriate shall, also in view of a future legislative reform, keep separate GAAR’s effects on tax assessment from those on penalties application.
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