Le informazioni sui movimenti bancari riferiti ai contribuenti che non svolgono attività d’impresa o di lavoro autonomo assumono, ai fini dell’accertamento tributario, rilevanza indiziaria, ai sensi dell’art. 32, n. 2, prima parte, D.P.R. n. 600/1973, se il soggetto sottoposto a controllo non dimostra la loro irrilevanza fiscale. L’Amministrazione Finanziaria può utilizzare i dati finanziari solo come elementi di fatto utili per la rettifica fiscale, che può essere svolta in base alle diverse tipologie di accertamento, nel rispetto della logica e delle regole ad esse sottese.
Banking information referring to taxpayers who do not carry out business or self-employment activities, for tax assessment purposes, are mere circumstantial evidences, according to art. 31, no. 2, first part, Presidential Decree no. 600/1973, if the taxpayer does not prove their tax irrelevance. Tax authorities may only use financial data as factual elements useful to ground the tax claim according to the various types of tax assessment, in compliance to their logic and their rules.
Keywords: tax assessments, banking inspections, circumstantial evidence, legal presumption, bank payments and withdrawals
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1. La fattispecie e gli enunciati della Cassazione - 2. La rilevanza probatoria dei movimenti bancari ai fini dell'accertamento tributario di redditi non determinati in base alle scritture contabili - 3. Segue: la rilevanza della fonte di produzione del (presunto) reddito non dichiarato - NOTE
Con la pronuncia in commento la Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla rilevanza delle movimentazioni bancarie ai fini dell’accertamento tributario dei redditi non determinati in base alle scritture contabili, in applicazione dell’art. 32, comma 1, n. 2 (prima parte), D.P.R. n. 600/1973 [1]. L’Amministrazione Finanziaria, sulla base di accertate movimentazioni finanziarie, aveva contestato ad una contribuente lavoratrice dipendente il conseguimento di redditi diversi (ai fini IRPEF) non dichiarati. In entrambi i gradi di merito le Commissioni tributarie (rispettivamente, provinciale e regionale) avevano accolto la tesi erariale. In particolare, i giudici di primo grado avevano affermato che la rilevanza probatoria delle operazioni annotate nei conti correnti fosse di portata generale, e quindi riferibile anche ai soggetti titolari di reddito diversi da quelli di lavoro autonomo e/o d’impresa. I giudici di secondo grado, aderendo alla ricostruzione della CTP, avevano anche evidenziato la necessità che il contribuente fornisse la dimostrazione che il provento emerso da questi rilievi fosse già stato o meno sottoposto a tassazione. La contribuente, nel giudizio di legittimità, pur riconoscendo l’agevolazione probatoria pro Fisco della norma in questione, ha eccepito l’illegittimità del principio secondo cui l’Ufficio non è tenuto ad indicare e motivare la scelta di ricondurre il reddito rilevato e contestato in esito a indagini finanziarie nell’ambito di una delle categorie reddituali previste dal TUIR n. 917/1986, soprattutto allorquando si tratti di soggetti che non determinano il reddito mediante scritture contabili. La Suprema Corte, ciononostante, ha ritenuto legittimo l’operato dell’Amministrazione, ribadendo che la qualifica soggettiva del contribuente – lavoratore dipendente o autonomo, o imprenditore – non assume alcuna rilevanza ai fini dell’applicazione dell’art. 32, comma 1, n. 2, prima parte, D.P.R. n. 600/1973. Ad avviso della Cassazione la norma individua una presunzione legale relativa di portata generale, che consente all’Ufficio di porre a base degli accertamenti e delle rettifiche fiscali i “dati” e gli “elementi” acquisiti mediante le indagini bancarie, ove il contribuente non dimostri di averne tenuto conto per la determinazione del [continua ..]
La pronuncia in commento, pur inserendosi in un filone giurisprudenziale consolidato, offre lo spunto per riflettere in maniera critica sulla valenza probatoria delle movimentazioni bancarie ai fini dell’accertamento tributario, in applicazione dell’art. 32, comma 1, n. 2, prima parte, D.P.R. n. 600/1973 [3]. La giurisprudenza di legittimità pressoché unanime – e l’ordinanza in esame rappresenta un’ulteriore conferma – ha sempre ritenuto che la citata disposizione contenga una presunzione legale relativa [4]. Ciò, nonostante la norma preveda testualmente che i “dati” e gli “elementi” che emergono dai rapporti bancari o finanziari in genere sono “posti a base” delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del medesimo decreto, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine. Anche la Corte costituzionale ha condiviso l’orientamento quando si è pronunciata sulla legittimità della seconda parte dell’art. 32, n. 2, riguardante l’equiparazione ai ricavi non dichiarati dei prelevamenti che non risultano dalle scritture contabili e dei quali il contribuente non ne indichi i beneficiari [5]. La dottrina, fin da tempi risalenti ed anche nella vigenza della normativa che regolamentava in termini tassativi ed eccezionali l’utilizzo dei dati bancari ai fini dell’accertamento tributario [6], ha espresso opinioni divergenti circa la valenza probatoria della prima parte dell’art. 32, comma 1, n. 2. Molti hanno ricondotto il disposto normativo nell’alveo delle presunzioni legali relative [7], e hanno qualificato in maniera unitaria le previsioni dell’art. 32, n. 2 [8], valorizzando l’inversione dell’onere della prova [9] rispetto alla regola prevista dall’art. 2697 c.c. [10], in base alla quale l’Amministrazione Finanziaria è tenuta a dimostrare i fatti che costituiscono il fondamento della pretesa fiscale [11]. Altri, invece, le hanno attribuito natura di presunzione semplice [12], e hanno qualificato i dati bancari alla stregua di meri indizi liberamente apprezzabili dal giudice tributario [13], sottolineando la genericità del fatto noto che consiste in [continua ..]
Da quanto finora osservato in ordine alla rilevanza probatoria delle movimentazioni bancarie riguardanti i soggetti che non esercitano attività d’impresa o di lavoro autonomo appare ancor più criticabile l’ulteriore affermazione della Cassazione, secondo cui la qualifica soggettiva di lavoratore dipendente, autonomo o imprenditore non assume alcuna importanza ai fini dell’applicazione dell’art. 32, comma 1, n. 2, prima parte, D.P.R. n. 600/1973. Ad avviso della Suprema Corte, in particolare, la disposizione disciplina una presunzione legale relativa di portata generale, in base alla quale l’Amministrazione Finanziaria non è tenuta ad indicare e motivare la scelta di inserire l’operazione contestata mediante indagini finanziarie nell’ambito di una delle categorie reddituali previste dal TUIR n. 917/1986. Al contrario, la valenza meramente indiziaria (e non presuntiva) dei dati finanziari, e la loro utilizzabilità esclusivamente nell’ambito delle regole e dei presupposti sottesi alle singole metodologie di accertamento, sono incompatibili con la (immotivata) inclusione della (presunta) materia imponibile non dichiarata nella categoria dei redditi diversi (come avvenuto nel caso di specie), senza che l’Amministrazione fornisca alcuna dimostrazione in ordine alla natura di reddito realizzato dal contribuente. La categoria dei redditi diversi, difatti, pur prevedendo ipotesi eterogenee non riconducibili alle altre categorie reddituali tipiche, si riferisce soltanto alle fattispecie contemplate nell’art. 67, TUIR n. 917/1986, caratterizzate dal fatto che i redditi compresi in ciascuna di esse derivano quasi sempre da una fonte produttiva [31]. Allo stesso modo, sono da respingere le ricostruzioni giurisprudenziali [32] secondo cui l’Amministrazione Finanziaria può utilizzare i movimenti bancari al fine di dimostrare lo svolgimento di attività di impresa o di lavoro autonomo mai dichiarate al fisco, oltre che per quantificarne il reddito da esse ricavato. Tali ricostruzioni, in particolare, in passato si sono limitate ad estendere ai fini reddituali le motivazioni alla base delle rettifiche ai fini IVA, in applicazione dell’art. 51, comma 2, n. 2), D.P.R. n. 633/1972 [33]. Secondo un noto orientamento della Cassazione [34], il fatto che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi siano [continua ..]