L’efficacia diretta delle sentenze interpretative rese dalla Corte di Giustizia UE rappresenta un principio pacifico. La sua affermazione comporta la necessaria disapplicazione delle norme interne incompatibili con il contenuto di tali pronunce, nonché l’illegittimità di decisioni giurisprudenziali e provvedimenti amministrativi che si pongano in contrasto con i principi al loro interno affermati. Un simile vincolo sussiste esclusivamente con riferimento alle fattispecie cui sia applicabile una norma europea. Negli altri casi il richiamo ai principi sanciti dai Giudici del Lussemburgo può rappresentare una sorta di “argomento di autorità”, volto a supportare la validità di talune soluzioni normative e giurisprudenziali, previo contemperamento degli stessi principi con le norme nazionali. La distinzione non appare sempre netta nella giurisprudenza tributaria di legittimità, ciò che comporta, talvolta, conseguenze non del tutto opportune.
EU principles and Supreme Courts tax case-law: european law supremacy and reverse discriminations Interpretative decisions of the Court of Justice of the European Union (CJEU) have direct effect and this is nowadays indisputable. Their enforcement implies the necessary disapplication of national laws incompatible with their contents, but also the unlawfulness of courts’decisions and administrative orders in contrast with the principles laid down by the CJEU. This binding effect exists if a EU provision finds application in the specific case. In any other case, references to CJEU’s principles may be used as an “authoritative opinion”, aimed at supporting the validity of certain interpretative and judicial solutions, after having identified the right balance between the latters and national rules. This distinction does not appear always clear in the case law of the Italian Supreme Court (ISC) and this situation often generates undesired consequences.
1. Efficacia diretta delle sentenze interpretative della Corte di Giustizia e principi generali dell’ordinamento UE
«La normativa comunitaria (…) entra e permane in vigore, nel nostro territorio, senza che i suoi effetti siano intaccati dalla legge ordinaria dello Stato; e ciò tutte le volte che essa soddisfa il requisito della immediata applicabilità. Questo principio (...) vale non soltanto per la disciplina prodotta dagli organi CEE mediante regolamento, ma anche per le statuizioni risultanti dalle sentenze interpretative della Corte di Giustizia».
L’affermazione è stata resa dalla Corte costituzionale in epoca ormai risalente [1]; essa rappresenta un principio indiscusso, oltre che uno dei principali puntelli posti a garanzia del primato dell’ordinamento europeo. Tale primato presuppone, infatti, la uniforme interpretazione delle disposizioni comunitarie direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri, nonché delle previsioni di diritto derivato, sulla base delle quali sono state armonizzate alcune aree degli ordinamenti nazionali. La supremazia del diritto UE sarebbe messa in discussione, qualora la coesistenza di molteplici letture dello stesso testo si traducesse, nei fatti, nell’esistenza di molteplici norme, fra loro anche sostanzialmente divergenti, in forza dell’azione di differenti “crittotipi” [2] caratterizzanti gli ordinamenti dei singoli Stati Membri.
L’oggetto delle sentenze interpretative cui si riferiva la Consulta, sostanzialmente innalzandole a fonti del diritto, è individuato oggi dall’art. 267 del TFUE: quest’ultimo affida alla Corte di Giustizia il compito di pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione dei trattati e de «gli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione». Proprio il richiamo di tale oggetto consente di tracciare i limiti intrinseci che caratterizzano l’ambito di efficacia delle indicazioni provenienti dal Giudice europeo [3], in tal modo, al contempo, fornendo a quella stessa efficacia un sicuro fondamento [4].
La Corte di Giustizia è chiamata ad interpretare le norme di diritto europeo primario e derivato, indicando alle giurisdizioni nazionali e, più in generale, agli operatori del diritto, la loro corretta lettura. Nell’esercizio di tale fondamentale funzione, che potremmo definire, per alcuni versi, nomofilattica, inevitabilmente le sue pronunce finiscono per interferire con differenti ambiti dell’ordinamento interno. Esse possono determinare, in particolare, la disapplicazione, integrale o parziale, di disposizioni nazionali, la cui operatività contrasti con le norme di diritto europeo correttamente interpretate, o comunque ne pregiudichi in qualche misura la piena efficacia. Tale fenomeno si verifica anche in relazione al settore [continua..]