Il giudizio sull’inerenza di un costo, sia che si riferisca al profilo del collegamento con l’attività dell’impresa sia che si riferisca alla congruità del suo ammontare, va collegato alla corretta determinazione della ricchezza in considerazione delle caratteristiche del caso di specie e prescinde dal dato normativo.
The judgment on the relevance of a cost, whether it refers to the profile of the connection with the business activity of the company or to the congruity of its amount, shall be linked to the correct determination of the wealth in the light of the characteristics of the case and regardless of the applicable rules.
Keywords: tax deduction, necessity test, cost, inherence, unreasonable business choice
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1. Premessa - 2. I redditi delle varie categorie tra determinazione analitico-aziendale e forfettizzazione delle spese: considerazioni generali - 3. Deducibilità dei costi: l'assenza di una definizione normativa di inerenza - 4. Segue: la ratio di tale assenza e l’espressa regolamentazione della sola indeducibilità dei costi afferenti a ricavi esenti - 5. I diversi fattori che influenzano la determinazione delle componenti negative in ambito imprenditoriale. Presupposti e limiti per la valutazione da parte dell'ufficio fiscale - 6. Verso il riconoscimento dell'inerenza come parametro di riferimento "qualitativo". Precisazioni in tema di antieconomicità - NOTE
Alcune recenti decisioni della Corte di Cassazione [1] confermano che la deduzione dei costi inerenti alla produzione del reddito non costituisce una contingente scelta legislativa, bensì una caratteristica strutturale del concetto stesso di reddito. In sostanza anche i giudici della Suprema Corte, in alcune decisioni adottate in materia di imposte sui redditi [2], hanno preso atto che la deducibilità dei costi rappresenta una condizione necessaria per la corretta determinazione della ricchezza, sempre che non sussistano (come accade per i redditi di lavoro dipendente, per i redditi di capitale e per quelli fondiari) buone ragioni (sempre sul piano della misurazione della capacità economica) per trascurare i costi o forfettizzarli in vario modo. L’inerenza, da un punto di vista generale e con un ragionevole grado di approssimazione, concorre a garantire il rispetto dell’effettiva capacità contributiva del soggetto passivo nella misura in cui il reddito (determinato analiticamente) venga assunto come presupposto d’imposta. Sul piano sistematico, dunque, non può non rilevarsi come la deduzione dei costi ed oneri sia limitata a quelli relativi all’attività d’impresa o di lavoro autonomo, mentre per le altre categorie reddituali è considerata o poco significativa e forfetizzata oppure addirittura irrilevante. La giurisprudenza si è così uniformata a quella parte della dottrina che da sempre ha sottolineato come il concetto di inerenza sia immanente [3] al concetto stesso di reddito, spingendosi addirittura ad ipotizzare che l’inerenza sia una “norma senza disposizione” [4]. Tale principio consente all’interprete di formulare un giudizio “di relazione” finalizzato ad individuare di volta in volta un rapporto di strumentalità tra la spesa sostenuta e la sfera dell’attività economica posta in essere dal contribuente [5]. Probabilmente se il legislatore avesse fornito una definizione dell’inerenza o addirittura una elencazione, anche se meramente esemplificativa, dei costi considerati inerenti non avrebbe certo agevolato l’attività dell’interprete, ma al contrario avrebbe finito per complicarla [6].
Come anticipato, l’inerenza non è un principio che viene applicato per qualsiasi categoria reddituale, ma solo al reddito d’impresa e a quello professionale [7], dove è prevista la quella che possiamo definire, con un ragionevole grado di approssimazione, determinazione analitica del reddito imponibile con considerazioni che si possono ripercorrere in gran parte per l’esercizio del diritto alla detrazione IVA [8]. Per alcune categorie di reddito (redditi di lavoro dipendente, redditi di capitale e fondiari), è più efficiente forfettizzare i costi in vario modo, oppure trascurarli del tutto senza che ciò incida sulla corretta determinazione delle rispettive tipologie di reddito. È stato infatti rilevato [9] come la predeterminazione dei costi è talvolta giustificabile con il fatto che sarebbe estremamente difficile offrire la prova del dato effettivo, mentre altre volte risponde a finalità prettamente agevolative o oppositive, in sintonia con gli scopi generalmente perseguibili mediante tale strumento. Si pensi, ad esempio, al reddito agrario, ossia il reddito derivante dall’esercizio sul terreno dell’attività agricola che, infatti, è determinato mediante l’applicazione delle apposite tariffe d’estimo stabilite per ciascuna qualità e classe di terreno, con conseguente irrilevanza dei costi e ricavi effettivi sostenuti nell’esercizio dell’attività [10]. La determinazione “al lordo” della base imponibile caratterizza anche la categoria dei redditi di capitale ed esclude che possano assumere rilievo eventuali costi sostenuti (ad esempio oneri notarili, costi di consulenza, imposte sostitutive, ecc.) dal percettore per produrre il reddito di capitale [11]. L’apprezzamento o meno dei costi trova comunque un presupposto essenziale “a monte” nel concetto di reddito, il che implica che nell’indagine si debba partire con l’individuare tale concetto, avendo però ben presente che, come autorevolmente evidenziato [12], il concetto di reddito è strumentale e varia in relazione agli scopi cui esso deve servire. Non esiste, infatti, una nozione unitaria di reddito [13], ma una definizione c.d. categoriale di esso [14]; prendendo una definizione [continua ..]
Così come visto per il reddito, anche per il concetto di inerenza si è da sempre parlato di un concetto pregiuridico che si lega all’idea di origine economica del reddito come entità necessariamente calcolata al netto dei costi sostenuti per la sua produzione; infatti, sono considerati deducibili, con una interpretazione che si è progressivamente estesa [25], tutti i costi maturati nell’esercizio che siano “inerenti” all’attività commerciale svolta dal contribuente. Per individuare in concreto quali costi possano essere dedotti dai componenti positivi ai fini della corretta determinazione della base imponibile è stato giustamente sottolineato come tale principio richieda una correlazione tra i componenti negativi e l’attività esercitata [26]. I costi concettualmente deducibili, ai fini della determinazione del reddito, finiscono per essere esclusivamente quelli attinenti alla attività da cui il reddito stesso deriva, e non a consumi o investimenti privati dell’imprenditore o di terzi. Spesso accade che i contribuenti cerchino, per conseguire un risparmio d’imposta, di dedurre spese non riguardanti l’impresa [27], ma la propria sfera personale o familiare. Ciò accade soprattutto per quelle spese che astrattamente potrebbero anche avere una utilità per l’impresa, come spese di vitto e alloggio (di cui il contribuente afferma la necessità in relazione a viaggi d’affari), di trasporto e per autoveicoli, di rappresentanza, ecc. Nella irrealistica pretesa che la legge possa sempre prevedere e disciplinare tutto, nonostante al principio di inerenza possano essere ragionevolmente estese le stesse considerazioni fatte per il reddito, almeno fino all’inversione di rotta cristallizzatasi nelle sentenze che hanno rappresentato lo spunto per questa riflessione, vi è stato nel tempo, soprattutto da parte della giurisprudenza, il tentativo di cercare per esso una disciplina legislativa. Tale tendenza, nonostante le perplessità della dottrina [28] ha portato nel tempo ad individuare tale norma nell’art. 75 (che corrispondeva, nella sostanza, a quello contenuto nell’art. 74, D.P.R. n. 597/1973) il quale disponeva, al suo comma 5, che «le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne [continua ..]
L’evoluzione normativa conferma che il legislatore, pur non fornendo una definizione di inerenza, ha cercato di tenere sotto controllo la deducibilità dei costi quando ad essi non corrispondesse la tassazione di un compenso o quando non fossero connessi con l’attività d’impresa, ma riconducibili alla sfera personale dell’imprenditore o del professionista. La scelta esplicitamente adottata dal legislatore è stata però nel senso di regolamentare solo i costi relativi ad elementi positivi di reddito esclusi da tassazione (art. 109, comma 5, TUIR), lasciando la distinzione tra spesa personale (indeducibile o solo parzialmente deducibile) e spesa imprenditoriale (o professionale) a disposizioni normative specifiche e di settore o rimettendosi alla valutazione dell’interprete con valutazione da compiersi caso per caso, in base alle caratteristiche concrete dell’attività svolta, alle dimensioni dell’impresa, alla sua organizzazione, alle sue esigenze promozionali, al suo volume d’affari, ai rapporti con le altre imprese, ecc. [30]. Ai sensi dell’art. 109, comma 5, le «spese e gli altri componenti negativi di reddito diversi agli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi». La funzione della norma è essenzialmente quella di impedire che costi afferenti a ricavi esenti vengano scomputati da altri proventi imponibili. Lo spirito della norma non va però ricercato in un malizioso compiacimento fiscalistico consistente nel ritorcere, in certi casi, le esenzioni (o peggio ancora le esclusioni) contro il beneficiario. Lo scopo è piuttosto quello di evitare che i soggetti beneficiari di proventi esenti da imposizione possano “espandere” la portata [continua ..]
In un sistema tributario in cui il reddito si determina come differenza tra componenti reddituali positivi e componenti reddituali negative [45] effettivamente sostenute, il rischio che il contribuente faccia apparire come spesa imprenditoriale o professionale un esborso riguardante il soddisfacimento delle esigenze personali o familiari dell’imprenditore è particolarmente forte. Va però precisato che il giudizio di inerenza, a rigore, viene compiuto ex ante quando si tratta di valutare la connessione dell’atto rispetto all’attività dell’impresa e dunque l’imprenditore può compiere delle scelte, indiscutibilmente inerenti, che anche se non sono connesse ad incrementi di reddito a breve termine [46]. Diverso è il discorso [47] per quel che riguarda le valutazioni in termini di congruità economica (c.d. economicità) che possono essere effettuate esclusivamente ex post, che sono dunque ancora di più influenzate dalle caratteristiche del caso di specie e con una serie di accortezze che nel tempo sono state enunciate dalla dottrina e dalla giurisprudenza che si sono occupate del tema [48]. L’operato dell’imprenditore potrà dunque essere sempre sindacato nell’ottica della corretta determinazione della ricchezza dall’ufficio fiscale. La possibilità di sindacare tali scelte imprenditoriali viene, però, riconosciuta solo quando il potere esorbita dalle finalità di gestione dell’impresa e si rivolge a finalità di consumo privato, cosa che può verificarsi sia quando si discute di inerenza dei costi, sia per la destinazione a finalità estranee all’esercizio d’impresa degli elementi patrimoniali dell’impresa stessa, oppure quando ci si occupa di elusione fiscale [49]. È evidente che l’eterogeneità dei temi trattati in connessione diretta o indiretta con il tema dell’inerenza complica inevitabilmente il quadro interpretativo e ha finito per creare notevole confusione nella valutazione degli aspetti qualitativi e quantitativi dell’inerenza [50]. Del resto il potere dell’imprenditore di organizzare l’impresa secondo criteri di opportunità e convenienza può addirittura far passare in secondo piano, nella rilevazione degli elementi reddituali, i diritti [continua ..]
Le recenti decisioni della Corte di Cassazione testimoniano come i due temi dell’antieconomicità e dell’inerenza procedano spesso insieme e soprattutto la necessità di valutare il loro rapporto in relazione alle caratteristiche del caso concreto che finiscono per influenzare in maniera determinante gli esiti del sindacato di inerenza come giudizio di relazione. In tale valutazione, sicuramente rafforzati dalle aperture della giurisprudenza citata nel testo e nelle note, bisogna altresì tener presente che l’antieconomicità serve sia come indizio di occultamento di corrispettivi, ma anche come spostamento di materia imponibile finalizzato al conseguimento di un vantaggio fiscale indebito. L’acquisto di un bene o di un servizio per un corrispettivo abnorme rispetto al prezzo di mercato può infatti celare una liberalità o comunque una erogazione di reddito e dunque una ripresa a tassazione fondata sul disconoscimento dell’inerenza del relativo onere. Infatti per quanto si voglia riconoscere all’imprenditore la piena libertà di iniziativa economica, non può egualmente trascurarsi che, in base a quelle nozioni di comune esperienza sempre più frequentemente utilizzate anche dai giudici tributari, sia palesemente irragionevole con una gestione produttiva dell’impresa che l’imprenditore ponga in essere, soprattutto reiterandole nel tempo, condotte antieconomiche se non ispirate ad una logica di risparmio d’imposta. Si pensi ad esempio al caso in cui la consociata cessionaria del bene risieda nel territorio dello stato, ma goda di agevolazioni fiscali legate alla sua ubicazione, oppure abbia perdite fiscali pregresse, sarebbe possibile “gonfiare artificiosamente” il prezzo del bene in modo tale da spostare materia imponibile verso un regime fiscale meno oneroso. Nel giudizio volto ad accertare l’inerenza o meno del costo dovrà considerarsi, in linea con quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione nell’ord. n. 3170/2018, che esula ai fini del giudizio qualitativo di inerenza un «apprezzamento del costo in termini di congruità o antieconomicità», parametri che non sono espressione dell’inerenza ma «costituiscono meri indici sintomatici dell’inesistenza di tale requisito, ossia dell’esclusione del costo dall’ambito dell’attività [continua ..]