Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Il mandato ad alienare tra limiti ordinamentali e pregiudizi fiscali (di Valeria Mastroiacovo)


Il presente saggio, superati i limiti ordinamentali e i pregiudizi fiscali relativi al mandato ad alienare, si propone di sintetizzare le diverse tesi interpretative nella prospettiva della rilevanza fiscale. Dall’analisi condotta sembra possibile ridurre l’alternativa teorica al tentativo di evidenziare la natura strumentale del negozio di mandato in funzione della successiva vendita, concentrando la tassazione sull’uni­co effetto realmente voluto tra i contraenti del negozio di mandato (ovverosia la disposizione gestoria priva di per sé di contenuto patrimoniale) e a quello di recuperare, anche attraverso le determinazioni della stessa Agenzia delle Entrate e della più recente giurisprudenza di legittimità, una – pur criticabile – ampia nozione di gratuità.

The mandate of sale between regulatory Restrictions and tax biases

Going beyond the regulatory limits and tax bias related to the mandate to sell, the present essay proposes to synthesize the different interpretative theses in the fiscal context. From the analysis carried out, it seems possible to reduce the theoretical alternatives Two. Firstly, to attempt to highlight the instrumental nature of the mandate as a function of the subsequent sale, concentrating the taxation on the only effect really desired among contractors of the mandate (the managerial disposition being in itself devoid of patrimonial content). Secondly,  also through the determinations of the Tax Agency and of the Supreme Court’s jurisprudence, to recover one comphrehensive notion of giftly, even if it could be open to critisism.

SOMMARIO:

1. Trasferimento strumentale della proprietà degli immobili - 2. Vizi e pregiudizi di un’indagine sul tema - 3. Mandato ad alienare - 3.1. Segue: natura autorizzatoria - 3.2. Segue: efficacia traslativa del mandato - 3.2.1. Segue: quale effetto di una titolarità fiduciaria meramente strumentale - 3.2.2. Segue: quale segmento di una fattispecie complessa - 3.2.3. Segue: duplice trasferimento sottoposto a condizione sospensiva - 3.2.4. Segue: o rilevanza della causa solvendi - 4. Attribuzione al mandatario: tra autonomia degli effetti negoziali, causa del collegamento negoziale e nozione di onerosità - 5. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Trasferimento strumentale della proprietà degli immobili

Nella prassi negoziale tra privati, in particolare in ambito familiare [1], può manifestarsi l’esigenza di disfarsi della proprietà di un bene immobile [2], pur senza l’immediata acquisizione di una somma in corrispettivo e senza che questo trasferimento si connoti necessariamente per uno spirito di liberalità. Tale spostamento patrimoniale può essere esito di vicende negoziali differenziabili – in prima approssimazione – in “finali” e “strumentali”, intendendo per queste ulti­me quelle finalizzate all’attuazione di un “programma” per una più efficiente collocazione del bene stesso sul mercato. Se dunque tale effetto dismissivo, specialmente in ambito familiare [3], potrà essere raggiunto mediante una donazione diretta del bene o – nel caso di diritti reali di godimento o di quota di comproprietà di diritti reali – mediante la rinuncia [4] agli stessi (non colorata da una causa onerosa [5]), è noto che tali assetti possono risultare strategicamente inopportuni poiché pregiudizievoli alla successiva circolazione del bene stesso in ragione di una possibile azione di riduzione da parte dei legittimari [6]. Ed infatti, al di là delle prospettive evolutive degli studi di diritto civile circa la rinunciabilità dell’azione di riduzione e del tentativo degli operatori nel mercato di proporre soluzioni efficienti (ma costose) quali, ad esempio, i contratti di assicurazione dal relativo rischio, soprattutto gli istituti di credito e gli intermediari finanziari mostrano ancora grande diffidenza a concedere finanziamenti con ipoteca su immobili di provenienza donativa. A ben considerare, proprio tale diffidenza circa la provenienza donativa dei beni immobili ha, anche di recente, sollecitato parte della dottrina sia di diritto civile, che di diritto tributario a indagare le ragioni di un possibile superamento dei limiti, precedentemente consolidati in giurisprudenza, all’opera­tività del mutuo dissenso di donazione, oggi ammesso anche con riguardo a negozi reali ad effetti compiuti [7]. Accedendo alla tesi dell’effetto eliminativo del negozio di mutuo dissenso si può infatti concludere che il bene, precedentemente oggetto di trasferimento della proprietà, in conseguenza della concorde volontà delle parti, torna nella [continua ..]


2. Vizi e pregiudizi di un’indagine sul tema

Alla precisazione di cui sopra va tuttavia necessariamente aggiunta una premessa sia di ordine civilistico che fiscale poiché il mandato ad alienare è uno di quegli istituti giuridici [20] della cui ammissibilità buona schiera dei civilisti ancora dubita e della cui legittimità gran parte dei tributaristi non pare persuasa. È evidente pertanto che solo laddove si ritenga di poter superare positivamente tali “vizi e pregiudizi” sarà utile proseguire in un’indagine sul tema. Quanto al profilo civilistico si osserva che diversamente dal mandato ad acquistare, disciplinato da apposita norma del codice civile [21], il mandato a vendere senza rappresentanza manca di disposizioni specifiche salvo a voler rinvenire una disciplina in nuce nell’art. 1731 c.c. relativamente alla commissione a vendere [22] e nell’art. 1471 c.c. laddove si precisa che i mandatari non possono rendersi compratori nemmeno all’asta pubblica (né direttamente, né per interposta persona) rispetto ai beni che sono stati incaricati di vendere [23]. Inoltre, sia la cessio bonorum [24] di cui all’art. 1977 c.c., che il prestito ipotecario vitalizio [25], che il trust liquidatorio [26], sono stati spesso declinati dalla dottrina anche in termini di mandato a vendere stabilito ex lege, con ciò implicando ulteriori complesse considerazioni di carattere ordinamentale tenuto conto della stretta connessione tra funzione gestoria e funzione di garanzia. La mancanza di una disciplina civilistica dell’istituto ha sollecitato da sempre un vivace dibattito della dottrina [27], non solo e non tanto avuto riguardo al tema della relatività dei contratti, quanto a quello della compatibilità con il nostro ordinamento della dissociazione del potere dispositivo dalla titolarità del bene. La questione giuridica posta in questi termini può trovare soluzione nelle due tesi antitetiche, entrambe sostenute da parte della dottrina con coerenza e rigore, che si riassumono essenzialmente da un lato nella affermazione che nel conferimento dell’incarico sia implicito l’effetto autorizzatorio a disporre dei beni e dall’altro nella configurabilità di un potere condizionato ovvero immediatamente conseguente alle stesse regole che discendono da uno schema funzionale analogo a quello del [continua ..]


3. Mandato ad alienare

Il mandato ad alienare un determinato bene senza rappresentanza implica la vendita dello stesso a cura del mandatario entro un determinato tempo, con attribuzione del prezzo al mandante e obbligo di rendiconto salvo che sia diversamente pattuito [36]. Nel caso che il bene abbia natura immobiliare, essenzialmente per ragioni di simmetria con la procura (art. 1351 c.c.), il mandato dovrà rivestire la forma scritta ad substantiam e l’atto a compiersi in adempimento del mandato dovrà, ai fini della trascrizione, assumere una forma idonea (atto pubblico o scrittura privata autenticata) [37].


3.1. Segue: natura autorizzatoria

Ai fini ricostruttivi pare comunque opportuno muovere da quella dottrina [38] che ha sostenuto la natura autorizzatoria del mandato ad alienare che importa il trasferimento diretto del bene al terzo senza necessità di spendere il nome del mandante. Secondo questa impostazione, conservando il mandante la titolarità del bene, egli stesso potrebbe procedere alla vendita, così come, al contempo, il mandatario in virtù della natura autorizzatoria del mandato ad alienare che lo legittimerebbe in tal senso, rendendo del tutto “superfluo e macchinoso” [39] un trasferimento interno della proprietà del bene dal mandante al mandatario [40]. Tuttavia questa ricostruzione sembra imbattersi in ostacoli insormontabili quali l’impossibilità di effettuare un’idonea trascrizione dell’ac­quisto del terzo in caso di immobili o mobili registrati [41]; d’altro canto, mancando una deroga alla previsione dell’art. 1372 c.c., la soluzione operativa della spendita del nome vanificherebbe lo sforzo ricostruttivo di un istituto autonomo [42]. Più in generale la critica mossa dalla dottrina a questa tesi pone in evidenza come nel nostro ordinamento l’istituto dell’autorizzazione non trovi un fondamento giuridico quale schema in grado di giustificare la dissociazione del potere dispositivo dalla titolarità, assumendo al più la funzione interna [43] di escludere l’antigiuridicità del comportamento dell’autorizzato rispetto alla sfera giuridica dell’autorizzante. Ed infatti, dalla sistematica del codice civile si dovrebbe trarre la considerazione per cui la legittimazione indiretta, in forza della quale il potere di disposizione del diritto è validamente riconosciuto in capo ad un soggetto diverso dal titolare del diritto stesso, in quanto derogatoria di principi generali (art. 1372 c.c.) sanciti anche a tutela dell’affida­mento del terzo e della certezza giuridica della circolazione dei beni, è ammissibile solo nei limiti in cui è espressamente disposta dal legislatore [44]. Ai fini fiscali, è evidente che laddove si accedesse alla tesi della natura autorizzatoria del mandato ad alienare l’unico atto da assoggettare a imposizione in misura proporzionale sarebbe quello che comporta il trasferimento del diritto dal mandante al terzo, non essendo [continua ..]


3.2. Segue: efficacia traslativa del mandato

La dottrina maggioritaria, pur concordando sulle critiche alla tesi dell’auto­rizzazione, giustifica l’ammissibilità del mandato ad alienare e la sua efficacia traslativa in ragione di argomentazioni tra loro differenti, facendo discendere la titolarità del diritto in capo al mandatario o in virtù di un negozio fiduciario o del c.d. doppio trasferimento simultaneo o del c.d. duplice trasferimento. In sostanza anche superata la teoria dell’autorizzazione e affermato che il mandatario potrà disporre dei beni oggetto del mandato ad alienare solo in quanto ne sia titolare, la contrapposizione si concentra tra chi ritiene essenziale ai fini del trasferimento dei diritti tra mandante e mandatario un distinto e autonomo atto e chi ritiene il mandato di per sé atto idoneo a trasferire in mo­do automatico al mandatario (non direttamente al terzo acquirente come nel caso della tesi della natura autorizzatoria), al fine dell’adempimento dell’ob­bligazione assunta, la proprietà degli stessi.


3.2.1. Segue: quale effetto di una titolarità fiduciaria meramente strumentale

Secondo parte della dottrina [45] il trasferimento al mandatario ad alienare sarebbe assimilabile a quello al fiduciario, in quanto attraverso l’atto di mandato otterrebbe la piena titolarità del bene, ma l’esercizio dei diritti ad esso relativi sarebbe interamente regolato e predeterminato nel negozio obbligatorio (mandato). Tuttavia già in epoca risalente [46] era stato osservato che il punto centrale, tutto da chiarire, di questa ricostruzione era in quale modo il diritto possa essere trasferito al mandatario dato che il nostro ordinamento non ammette in via generale la figura del negozio astratto. Pertanto, qualora si ritenga che l’evoluzione del sistema giuridico ci conduca oggi verso l’ammissibilità di tale negozio, fermi restando i rischi per il mandante connessi all’effettivo adempimento del mandato, potremmo riconoscere al trasferimento della titolarità al mandatario natura meramente strumentale in quanto programmata al solo fine dell’alienazione al terzo [47]. Se si ritengono superabili le eccezioni legate all’ammissibilità del negozio astratto, anche sulla scorta dell’esperienza, relativamente recente, della regolamentazione nel nostro ordinamento delle società fiduciarie e del trust, e si configura il mandato ad alienare quale negozio fiduciario (funzionale al negozio gestorio) si possono trarre delle significative conclusioni agli effetti del relativo regime fiscale in parte confermati da, seppur isolata, giurisprudenza [48]. Ed infatti, ponendo l’accento sulla natura meramente strumentale del trasferimento del bene, comunque vincolato all’attività gestoria preordinata nel mandato, si potrebbe sostenere l’estraneità di questo assetto – appunto astratto – dalla tipicità della causa (onerosa o gratuita) cui ordinariamente il legislatore tributario riconduce la tassazione in misura proporzionale delle modificazioni patrimoniali della ricchezza. A ben vedere, nell’ambito dell’imposi­zione indiretta vi sono tributi rispetto ai quali la causa appare effettivamente discriminante [49] rispetto alla riconducibilità di una fattispecie al presupposto, rendendone conseguentemente necessaria l’individuazione rispetto ad atti c.d. neutri o a vicende negoziali complesse [50]. Pertanto, la natura meramente strumentale (ad un successivo assetto [continua ..]


3.2.2. Segue: quale segmento di una fattispecie complessa

Proseguendo allora nella disamina delle diverse tesi ricostruttive della dottrina civilistica relativamente al mandato a vendere, pare il caso di precisare che alcuni Autori hanno ritenuto necessario teorizzare, per l’operatività del negozio, un “doppio trasferimento simultaneo”. In altri termini l’effetto reale si realizzerebbe solo nel momento in cui il mandatario – in attuazione del negozio gestorio – aliena il bene al terzo in esecuzione del mandato [58]. Distinguendo tra potere di negoziare e potere di disporre, alcuni Autori concludono che il mandatario negozierà in rem alienam senza poter esplicare effetti sul bene, del quale diverrà titolare “contestualmente e tramite” la manifestazione di volontà di negoziarlo «rendendo così attuale ed efficace la traslazione programmata nell’atto gestorio» [59]. La simultaneità del trasferimento dovrebbe condurre a ritenere che «l’atto di ritrasferimento non è dunque un negozio realmente traslativo (per essersi già verificato quel medesimo effetto in via automatica), ma atto funzionale (soltanto) alle esigenze della trascrizione, così che anche una dichiarazione unilaterale ricognitiva dell’appartenenza del bene al mandante resa al pubblico ufficiale potrebbe essere legittimamente trascritta, pur se totalmente priva dei connotati del negozio traslativo» [60].


3.2.3. Segue: duplice trasferimento sottoposto a condizione sospensiva

Secondo alcuni di questi Autori l’effetto traslativo del diritto sarebbe in sé (cioè pur in assenza di una specifica clausola negoziale in tal senso [61]) sottoposto alla condizione sospensiva dell’alienazione al terzo da parte del mandatario [62], tuttavia già tempo addietro era stato posto in evidenza come «presup­posto del trasferimento diretto dal mandante al mandatario sarebbe il trasferimento del diritto dal mandatario al terzo, il quale a sua volta non è possibile ... senza il trasferimento dal mandante al mandatario» [63]. Seguendo l’imposta­zione della condizione sospensiva si verrebbe cioè a creare un circolo vizioso assumendo la vendita gestoria come condizione di un fatto, che ne costituisce al tempo stesso presupposto. Rispetto a questa eccezione, parte della dottrina risponde appunto con la tesi del trasferimento simultaneo distinguendo tra negoziazione del diritto e potere dispositivo dello stesso. Seppur la giurisprudenza di Cassazione [64] non sembra aver preso una chiara posizione su questi temi in alcune pronunce può leggersi che «se fosse sempre necessario – quanto meno nel mandato a vendere beni immobili o mobili registrati – un previo negozio formale di trasferimento dal mandante al mandatario per legittimare la successiva alienazione formale del bene da parte di que­st’ultimo, il contratto di commissione e l’istituto del mandato a vendere perderebbero gran parte della loro funzione ed utilità. (...) Si deve allora ritenere, in adesione ai risultati dei più recenti studi sull’argomento, che nel mandato ad alienare sia ravvisabile un contratto nel quale l’effetto traslativo reale del bene, derivante dal consenso manifestato dalle parti, non si verifica immediatamente ma è sospensivamente condizionato al compimento dell’alienazione gestoria del bene medesimo da parte del mandatario». È evidente che tale ricostruzione, ai fini dell’individuazione del regime fiscale applicabile all’atto di mandato non pone grandi dubbi interpretativi dovendosi ipotizzare una tassazione in misura fissa in ragione della condizione sospensiva, cui tuttavia, nel momento del verificarsi della condizione, dovrebbe aggiungersi una tassazione proporzionale per il trasferimento interno e una tassazione proporzionale per il trasferimento al terzo. Tale [continua ..]


3.2.4. Segue: o rilevanza della causa solvendi

Altra parte della dottrina ritiene che il trasferimento interno opererebbe in forza di un autonomo atto solvendi causa [66] (sarebbe cioè esito di un’obbli­gazione di dare in senso tecnico che risiederebbe in capo al mandante in forza delle norme generali – art. 1719 c.c. – che presiedono all’operatività dell’isti­tuto). Si tratterebbe in altri termini di una causa esterna che obbliga il mandante a fornire al mandatario i mezzi necessari per l’adempimento del mandato. In questi termini il trasferimento del bene – attraverso il mandato – sarebbe concepito solo in forma obbligatoria e tuttavia, secondo alcuni, frustrerebbe le potenzialità insite nello stesso mandato e sarebbe contrario ai canoni di economia giuridica [67]. La critica si concentrerebbe in altri termini sulla ridondanza della ricostruzione che raggiungerebbe il medesimo risultato di un’in­terpretazione conforme all’art. 1372 c.c. In verità a noi pare che un trasferimento prodromico della proprietà del bene dal mandante al mandatario in esecuzione del mandato (in termini di contratto con obbligazioni gestorie) avrebbe la valenza di un atto di adempimento delle obbligazioni assunte appunto nell’ambito del predetto contratto e si atteggerebbe alla stregua di un adempimento traslativo con causa esterna (solutoria). La ragione giustificativa di questo negozio di trasferimento risiederebbe infatti unicamente nell’adempimento di un obbligo che grava ex lege sul mandante. Se si supera l’eccezione di antieconomicità formulata dalla dottrina e si accetta questa ricostruzione occorre bene considerare che essa – a differenza delle altre tesi essenzialmente connesse all’astrattezza del negozio – giustifica causal­mente l’atto di provvista in termini solutori e dunque onerosi (a prescindere dalla eventuale gratuità del mandato) il che rende necessaria una verifica del regime fiscale ad esso applicabile nell’alternativa tra l’assoggettamento ad imposta di registro in misura proporzionale in ragione del trasferimento verificatosi in capo al mandatario e la natura, ancora una volta strumentale, della solutio in quanto programmatica e funzionale all’adempimento dell’obbligazione dedotta nel contratto e, certo, non finalizzata alla remunerazione della [continua ..]


4. Attribuzione al mandatario: tra autonomia degli effetti negoziali, causa del collegamento negoziale e nozione di onerosità

A nostro avviso nell’alternativa giuridica tra la causa astratta del mandato senza rappresentanza e la causa onerosa esterna della provvista al mandatario in ragione dell’art. 1719 c.c. non sembrano esserci ulteriori margini ricostruttivi, tuttavia è noto che nella prassi si assiste ad atti espressamente qualificati di “attribuzione gratuita” di beni immobili attraverso il negozio di mandato, da parte del cedente al cessionario, di alienare lo stesso a terzi e di ritrasferirgli il prezzo ricavato sul mercato. Abbiamo già evidenziato in premessa che questa casistica discende per lo più dalla circostanza che tali assetti siano posti in essere tra coniugi o parenti in linea retta tra i quali operano, nei termini previsti dalla disciplina dell’imposta sulle successioni e donazioni, le franchigie da imposta. Tutto ciò altera evidentemente l’oggetto dell’analisi sopra condotta, con conseguenze sia sulla giurisprudenza e che sulla prassi amministrativa [68]. Muovendo allora proprio da questa casistica appare dirimente verificare se la cosiddetta gratuità dell’attribuzione possa trovare giustificazione anche accedendo alla ricostruzione giuridica da ultimo analizzata incentrata sulla causa solutoria del trasferimento del bene tra mandante e mandatario, in sé ordinariamente riconducibile all’alveo dell’onerosità. Ed infatti, se la dottrina già da tempo ha affermato che nel mandato a trasferire, che un soggetto può disporre a favore di terzi, il trasferimento dal mandante al mandatario non può mai dirsi “a titolo gratuito” [69] in quanto il mandatario è obbligato al ritrasferimento in forza dello stesso titolo contrattuale per il quale ha ricevuto il bene, alcuni Autori hanno sviluppato ulteriori indagini sul tema pervenendo alla conclusione che nel caso del mandato ad alienare, così come nel negozio fiduciario, in presenza di fattispecie negoziali aventi una causa propria non donativa, questa sia di per sé riconosciuta idonea a giustificare i (diversi) trasferimenti tra i soggetti coinvolti. In altri termini nel conferimento di un mandato senza rappresentanza ad alienare un bene del mandante, il trasferimento del bene in proprietà al mandatario avverrà mediante un atto che non è né vendita, né donazione, ma, appunto, atto necessario al compimento del [continua ..]


5. Considerazioni conclusive

In considerazione dei legittimi obiettivi perseguibili attraverso il mandato ad alienare, già delineati in premessa [81], sembra che le tesi interpretative circa la rilevanza fiscale di questo negozio si debbano ridurre ad un’alternativa tra il tentativo di evidenziare la natura strumentale del negozio di mandato in funzione della successiva vendita, concentrando la tassazione in misura fissa sul­l’unico effetto realmente voluto tra i contraenti del negozio di mandato (ovverosia la disposizione gestoria priva di per sé di contenuto patrimoniale) e quello di recuperare, anche attraverso le determinazioni della stessa Agenzia delle Entrate e della più recente giurisprudenza di legittimità, una – pur criticabile – ampia nozione di gratuità. In verità, mantenendo il mandato nel suo ambito “naturalmente” oneroso, in base alle diverse ricostruzioni sopra esposte, nell’ambito dell’imposta di registro residuerebbero spazi per un’imposizione proporzionale sia – evidentemente – qualora si acceda alla tesi del doppio passaggio dei beni (con conseguenza delle relative aliquote ordinariamente previste), sia qualora si ritenga di ricondurre la fattispecie, pur strumentale, alla residualità dell’art. 9 della tariffa parte prima, disconoscendo, così, la tesi della più recente giurisprudenza di legittimità ed in particolare alla necessaria connessione di questa norma con la previsione dell’art. 43, comma 1, lett. h), T.U., quanto “all’ammontare dei corrispettivi”. Appare, tuttavia, utile segnalare che i tentativi sopra descritti di limitare la tassazione dell’atto all’imposta fissa di registro sono finalizzati a rinvenire nel sistema un’interpretazione che consenta di evitare conseguenze farraginose al­trimenti ineluttabili. Non vi è chi non veda infatti che diversamente, ipotizzando una tassazione di tipo proporzionale della vicenda negoziale ascrivibile alla provvista del mandatario dovremmo poi interrogarci sulla possibilità che tale soggetto possa richiedere agevolazioni (e valutarne l’eventuale decadenza in ragione della necessaria temporaneità della situazione giuridica), possa subire pregiudizio agli effetti di altri tributi (ad esempio, ai fini della configurazione o meno – quanto alla causa della provenienza – di [continua ..]


NOTE