Il contesto nel quale si è mossa la tutela e la promozione del patrimonio culturale italiano ha fin qui riguardato la previsione da parte del legislatore nazionale di uno spettro di interventi fiscali agevolativi tra loro estemporanei e disomogenei.
In questo quadro, occorre indagare se agli enti locali e, in specie, alle Regioni a Statuto speciale, possa ritagliarsi uno spazio per contribuire alla valorizzazione del patrimonio culturale dei rispettivi territori quale possibile “volano” per lo sviluppo economico locale.
The context in which the protection and promotion of Italian cultural heritage has moved has so far concerned the provision by the national legislator of a spectrum of interventions of tax breaks extemporaneous and inhomogeneous among each other.
In this context, it is necessary to check whether local authorities and, in particular, Regions with special status, may create a space for contributing to the enhancement of the cultural heritage of their territories as a possible “flywheel” for local economic development.
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1. L’attuale modello di “fiscalità per la cultura” - 2. Il quadro costituzionale e statutario di riferimento - 3. Prospettive future per una fiscalità regionale e locale culturalmente orientata - 3.1. Il cultural-bonus - 3.2. Segue: possibili misure per la fiscalità immobiliare comunale e nelle città d’arte - NOTE
L’interesse che tradizionalmente la disciplina fiscale ha riservato alla salvaguardia e promozione del patrimonio culturale, storico e artistico nazionale si è risolto nella previsione di strumenti agevolativi in favore dei possessori dei beni culturali per sostenerne la relativa gestione a vantaggio della collettività [1]. Gli interventi che si sono succeduti si sono rivelati tra loro assai disomogenei e rivolti a far fronte alla scarsità di risorse in tempi di crisi, stimolando l’apporto da parte di finanziatori privati. Tali misure hanno avuto riguardo più alla tutela diretta e di tipo “statico” dei beni dichiarati di pubblico interesse ai sensi della L. n. 1089/1939 e successive modificazioni [2], piuttosto che alla promozione e valorizzazione degli stessi in una visione, per così dire, “dinamica” e orientata in senso autenticamente espressivo dei principi di cui all’art. 9 Cost. Di ciò è ben consapevole anche la Corte costituzionale la quale, in ossequio all’art. 53 Cost., giustifica il regime sottrattivo riservato ai beni culturali a cagione della minor capacità contributiva evidenziata dall’incidenza del vincolo [3]. In questo scenario, in tutto riconducibile ad una regìa in ambito statale, occorre indagare se agli enti locali e, in specie, alle Regioni a Statuto speciale, possa ritagliarsi uno spazio per contribuire alla valorizzazione del patrimonio culturale presente nei rispettivi territori, spesso di pregio e di appeal anche se non (ancora) di interesse ai sensi degli artt. 13 ss., D.Lgs. n. 42/2004, ed apprezzabile quale possibile “volano” per lo sviluppo economico locale [4].
Soprattutto nell’ottica di tentare di delineare un possibile intervento decentrato in subiecta materia, non può prescindersi dal valorizzare l’inscindibilità tra il paesaggio e il patrimonio storico-artistico, così come si evince dall’art. 9 Cost. al quale si richiamano pure i principi ispiratori del Codice dei beni culturali e del paesaggio [5]. In primo luogo, l’attivazione di politiche fiscali di promozione del patrimonio culturale ben si presta all’adozione in ambito regionale, stante il connaturato collegamento con i principi di territorialità e di continenza che tale ambito esprime [6], peculiarità che le autonomie differenziate evidenziano in modo particolare – e in ciò si evidenzia un tratto che le differenzia dalle Regioni ordinarie – in ragione del rango costituzionale dei propri Statuti speciali ove il riferimento al patrimonio storico-culturale, nonché all’ambiente (e a materie affini) è assai ricorrente [7]. Invero, la considerazione ontologicamente congiunta e unitaria che si ricava dal dettato costituzionale sconta la natura “trasversale” che sia il riferimento all’ambiente che ai beni culturali è in grado di permeare ai diversi livelli di governo [8]. Così, da un lato, in séguito alla riforma del Titolo V del 2001, l’art. 117, comma 2, lett. s), Cost. attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” e, dall’altro, l’art. 117, comma 3, Cost. annovera tra le materie di legislazione concorrente la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali, promozione e organizzazione di attività culturali”. Ecco, allora, che la ripartizione delle competenze tra Stato e autonomie non può che declinarsi secondo i principi di corresponsabilità, di “leale collaborazione” e di sussidiarietà c.d. verticale [9]. Proprio in materia ambientale, in ragione della natura “composita” e degli spazi di sovrapposizione per i molteplici interessi sottesi, la Corte ha riconosciuto anche alle Regioni una competenza concorrente. In questo contesto, sebbene in materia di tutela ambientale la giurisprudenza costituzionale si sia orientata nel riconoscere allo Stato la competenza esclusiva e [continua ..]
A questo punto, ben si comprende come la spinta propulsiva della leva fiscale possa contribuire alla promozione del patrimonio storico culturale e così accrescere l’attrattività, anche turistica, di quei territori generando esternalità positive anche per lo sviluppo economico [23]. La nuova prospettiva alla quale occorre orientarsi è quella di intendere l’insieme dei beni culturali non solo secondo un’accezione “statica” e di mera tutela di quel patrimonio, ma anche come portatore di interessi culturali e sociali con precipua valenza identitaria il cui appeal ben si presta ad essere valorizzato economicamente [24]. Sulla scorta dell’esperienza dell’Art Bonus, introdotto dall’art. 1, D.L. n. 83/2014 [25] ed oggi stabilizzato con la legge di Stabilità 2016 [26], le Regioni – e, in particolare, quelle a Statuto speciale – potrebbero varare un proprio credito d’imposta per le erogazioni liberali quale misura di sostegno del mecenatismo a favore del patrimonio culturale presente nei propri confini. Si potrebbe così immaginare un corrispondente cultural-bonus, eventualmente prevedendosi anche elargizioni liberali in natura, oltre che in denaro, da destinarsi alla promozione e conservazione del patrimonio culturale in mano ai privati che li rendano accessibili alla collettività. Tale misura, la cui architettura potrebbe rifarsi alla disciplina di default statale, avrebbe il pregio di alleggerire gli oneri di manutenzione a carico dei proprietari con l’interesse pubblico alla fruizione di risorse – si pensi a biblioteche e pinacoteche, archivi, parchi ed edifici di particolare pregio – non altrimenti condivisibili e potrebbe annoverare anche i beni ecclesiastici. Se tale strumento ben potrebbe inserirsi nel novero competenziale di rango esclusivo o concorrente di cui all’art. 117, comma 3, Cost. e alle specifiche disposizioni statutarie regionali – rispetto alle quali i principi di territorialità e continenza trovano adeguato riconoscimento – occorre osservare che un’eventuale versione regionale sconta, allo stato, l’assenza di tributi propri in senso stretto sui quali operare in compensazione [27]. Un margine di operatività di tale meccanismo a valere sui tributi erariali si potrebbe intravedere con riguardo alle [continua ..]
Quanto alla fiscalità locale, uno spazio ulteriore potrebbe ritagliarsi ai Comuni situati nelle Province di Trento e Bolzano, ove non trovano più applicazione l’imposta municipale propria (IMU) e la tassa per i servizi indivisibili (TASI) – tributi c.d. derivati – ma, rispettivamente, l’imposta immobiliare semplice (IMIS) [33] e l’imposta municipale immobiliare (IMI) [34], tributi propri in senso stretto che sostituiscono integralmente la disciplina degli omologhi tributi statali. Ciò potrebbe consentire l’introduzione di un credito d’imposta o di sgravi variamente modulati, a valere su tali tributi, per agevolare interventi di promozione e sostegno al patrimonio immobiliare di particolare pregio storico-culturale potrebbe trovare spazio [35]. Altri spazi possono offrirsi alla fiscalità dei Comuni, i quali nell’ambito della propria potestà regolamentare ex art. 52, D.Lgs. n. 446/1997 possono declinare a vantaggio della promozione e valorizzazione del patrimonio culturale dei propri territori strumenti sia tributari che tariffari, già noti nel panorama della regolamentazione e tassazione dei flussi turistici. Si pensi, ad esempio, all’imposta di scopo che tra le opere finanziabili menziona pure il restauro, la conservazione di beni artistici e architettonici, nonché quelle opere relative a nuovi spazi per eventi e attività culturali, allestimenti museali e biblioteche [36]. Peraltro, considerato che l’architettura del tributo si fonda sulla base imponibile IMU, l’onere del finanziamento di tali interventi finirebbe per gravare sui residenti possessori di immobili ubicati nel territorio comunale [37], pur essendo tali opere tendenzialmente rivolte ai visitatori non residenti. Analogo vincolo di destinazione di parte del gettito potrebbe essere previsto anche nei regolamenti istitutivi dell’imposta di soggiorno, contribuendo così a far sentire i vacanzieri partecipi degli interventi di recupero e promozione dei beni culturali e architettonici, percepiti come “unici” e tali da orientare le proprie scelte nell’individuazione dei luoghi culturalmente attrattivi [38]. Altro versante percorribile attiene alla sollecitazione della partecipazione attiva dei cittadini nella cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani, in [continua ..]