I consorzi per le aree di sviluppo industriale, disciplinati dall’art. 36, L. 5 ottobre 1991, n. 317 (qui di seguito “Consorzi”), secondo quanto precisato recentemente dalla Suprema Corte di Cassazione, non sono da considerare imprese e come tali soggetti passivi IVA, quando svolgono attività perché “pubbliche autorità” esercitando i poteri connessi al regime giuridico loro proprio, anche quando «percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni». Partendo proprio da questa posizione consolidata della giurisprudenza della Corte di Cassazione, si è spiegato quando i Consorzi non svolgono alcuna attività economica e/o imprenditoriale e perché le sue prestazioni non possono ritenersi rilevanti ai fini IVA se trattasi di servizi non “a domanda individuale” ma indivisibili – servizi che i Consorzi finanziano richiedendo i c.d. canoni consortili a quegli imprenditori localizzati nelle aree assegnate sempre ai Consorzi. Oltre a non essere soggetti a IVA, tali canoni partecipano della natura delle obbligazioni pubblicistiche, equiparabili ai tributi (imposte reali). Infatti, il dovere in merito al pagamento dei canoni consortili ha il proprio fondamento non in un documento contrattuale ma nella legge, ovvero nell’art. 11, D.L. n. 244/1995. A ciò si aggiunge che il Consorzio è obbligatorio e i consorziati non sono lasciati liberi di aderirvi o meno, mentre i canoni consortili hanno una finalità di pubblico interesse. Ne consegue, da una parte, che i canoni consortili non devono essere assoggettati a IVA, e, dall’altra, che i Consorzi, essendo gli enti preposti allo svolgimento delle attività di gestione e manutenzione delle aree consortile, sono titolari di una potestà tributaria di tipo speciale e quindi prevalente rispetto a quella dell’ente locale. Come corollario, poiché i canoni consortili servono a finanziare non servizi a domanda individuale ma servizi indivisibili da svolgere sulle aree di pertinenza dei Consorzi, gli enti locali, per ragioni di equità, devono ridurre l’imposizione TARES, IUC (TASI) per quelle imprese che già versano i canoni a favore dei Consorzi, e ciò allo scopo di evitare la doppia imposizione.
According to the Italian Supreme Court (ISC), public consortia for industrial developing pursuant to Art. 36 of Italian Law no. 317 of 5 October 1991 (hereinafter “Consortia”) shall not be considered as commercial entities and then subject to VAT, since they act as “public authorities” by carrying out public powers and functions even when «they receive rights, royalties, contributions or other payments». Starting from this clear position emerging from the ISC case law, it has been explained when Consortia do not carry out any economic and/or business activity and why their services cannot be subject to VAT being not required by single operators but by a broad community – i.e. services that Consortia finance by requesting the so-called consortia fees to those entrepreneurs established in areas under their competence. Such consortia fees not only are not subject to VAT, but shall be considered as obligations having the same public nature as taxes. In this respect, the duty to pay consortia fees is not rooted in a contract, but in Art. 11, Law Decree no. 244/1995. Moreover, Consortia are compulsory and their members are not free to adhere, and, therefore, consortia fees have a public interest purpose. This implies that, on the one side, consortia fees are not subject to VAT; on the other side, being Consortia the bodies entrusted to carry out the activities of management and maintenance of the relevant areas, have a special taxing power that shall prevail over the one of the local government. As a consequence of this, since consortia fees are aimed at financing not services required by single operators but indivisible services to be rendered in the areas of competence, local entities – for tax justice reasons – shall reduce the claim of local taxes for those enterprises that are already paying consortia fees, in order to avoid double taxation.
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