La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha analizzato la problematica dell’assoggettabilità ad IVA della cessione di un bene immobile, effettuata da un soggetto passivo di diritto polacco ad un ente territoriale, al fine di estinguere un debito tributario. I giudici europei, nella questione pregiudiziale, hanno valutato la natura della cessione del bene in termini di rilevanza ai fini IVA e, in particolare, le sue condizioni di esigibilità. Dall’esame del contesto normativo europeo e del diritto polacco, la Corte conclude affermando che non rappresenta un’operazione rilevante ai fini IVA la cessione di un bene immobile effettuata da un soggetto passivo d’imposta, a favore dello Stato o di un ente territoriale, a titolo di pagamento di un pregresso debito tributario. L’operazione non costituisce una cessione di beni soggetta ad IVA, in quanto carente del carattere dell’onerosità.
The Court of Justice of the European Union has analysed the problem concerning the VAT relevance of a transfer of a real property, made by a Polish taxpayer to a local public body, with the aim of extinguishing a tax debt. The European judges, in this preliminary ruling, have considered this transfer subject to VAT and, in particular, its conditions of enforcement. Following an accurate analysis of the European and Polish rules, the Court has reached the conclusion that the transfer of a real property by a person subject to VAT, in favour of the State or a local public body, for the payment of previous tax claims, does not represent a transaction relevant for VAT purposes. The transaction does not constitute a supply of goods subject to VAT, since it lacks the onerousness nature.
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1. La questione posta all’attenzione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea - 2. Le conclusioni dell’Avvocato Generale ed il diverso approccio della Corte di Giustizia - 3. Il carattere della “onerosità” nella prospettiva italiana - 4. Le ricadute della pronuncia dei giudici europei sul sistema tributario italiano - 5. La cessione di beni culturali destinata al pagamento di tributi - 6. Conclusioni - NOTE
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea [1] (di seguito CGUE) si è pronunciata in merito alla domanda pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 TFUE [2], sull’interpretazione dell’art. 2, par. 1, lett. a) [3], e dell’art. 14, par. 1 [4], della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (di seguito “Direttiva IVA”). Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il Minister Finansów (Ministero delle Finanze Polacco, di seguito “Ministero”) e la Posnania Investment SA (in prosieguo “Posnania”), relativamente all’assoggettamento ad IVA di un’operazione con cui detta società trasferisce ad un ente territoriale un bene immobile al fine di compensare un debito tributario pregresso. La Posnania è una società di diritto polacco che opera, inter alia, nel settore dell’intermediazione immobiliare e, a tale titolo, è soggetto passivo IVA. Al fine di estinguere i pregressi debiti tributari, propone al comune di Czerwonak di stipulare un contratto di trasferimento della proprietà di un terreno non edificato di proprietà della Posnania [5]. La società ha richiesto al Ministero un parere per determinare se detta operazione conclusa con il Comune è soggetta all’IVA e se, dunque, è necessario emettere la relativa fattura; la stessa ha argomentato la domanda ed ha fornito il proprio orientamento, sostenendo che l’operazione non è soggetta ad imposta, richiamando la giurisprudenza amministrativa, il Naczelny Sąd Administracyjny (Corte Suprema amministrativa polacca), secondo cui il trasferimento della proprietà di un bene a favore dell’erario, in compensazione con debiti tributari, costituisce un’operazione non soggetta all’IVA. Successivamente (10 maggio 2013), il Ministero ha rilasciato parere ritenendo che, a seguito del trasferimento della proprietà del bene immobile al Comune, quest’ultimo assume la qualifica di proprietario e, pertanto, detto trasferimento funge da compensazione, costituendo una cessione a titolo oneroso, ai sensi della legislazione polacca, ed è assoggettato, in linea di principio, all’IVA. A [continua ..]
L’Avvocato Generale Kokott (nel prosieguo AG) [6], pone l’interrogativo se «la dazione di beni in pagamento ad estinzione di debiti d’imposta costituisce un’operazione imponibile ai fini dell’imposta sul valore aggiunto quando il debitore dell’imposta è anche un soggetto passivo ai sensi della normativa IVA» [7]. Nell’analisi del quadro normativo europeo, l’AG rileva che l’art. 2, par. 1, lett. a), della Direttiva IVA contiene cinque condizioni affinché l’imposta divenga esigibile, ovvero deve sussistere (a) una cessione di beni o prestazione di servizi effettuata (b) da un soggetto passivo (c) che agisca in quanto tale (d) a titolo oneroso (e) nel territorio di uno Stato membro. Di tali requisiti, sicuramente ne risultano soddisfatti tre (a, b, e), ma secondo l’AG per verificare se tale datio in solutum sia da considerarsi operazione imponibile ai fini IVA è necessario comprendere se (i) la cessione si possa considerare “a titolo oneroso” e (ii) se il cedente possa qualificarsi come soggetto passivo IVA che “agisce in quanto tale”. Con riferimento al primo punto, nella sua ricostruzione, l’AG è dell’idea che il trasferimento della proprietà del terreno (bene immobile) in materia fiscale avvenga normalmente a titolo oneroso. Ha aggiunto, altresì, che dovrebbe verificarsi se la cessione e la remissione possano considerarsi come un rapporto giuridico sinallagmatico [8] o unilaterale. Ad ogni modo, l’AG ritiene che la cessione del bene e l’estinzione del debito tributario si fondano su un rapporto giuridico di diritto pubblico già disciplinato dal Codice tributario polacco all’art. 66, riconoscendo la sussistenza di una cessione a titolo oneroso, requisito dunque soddisfatto. Con riferimento invece al secondo punto, ovvero se il soggetto agisca o meno quale soggetto passivo IVA (in quanto tale), l’AG risponde in senso negativo. Ritiene, infatti, che nel caso di specie anche se l’attività economica deve essere interpretata in modo estensivo [9], l’estinzione di debiti tributari non vi rientra, non integra un’attività economica del debitore d’imposta, ai sensi dell’art. 9 della Direttiva IVA [10]. Il pagamento delle imposte (sia in denaro che in natura) [continua ..]
Per comprendere il rapporto che sussiste tra l’ordinamento tributario europeo, con riferimento alla pronuncia della Corte di Giustizia Europea qui in esame, e quello italiano è bene partire dall’analisi del concetto di “onerosità”. Come affermato da importante dottrina [17], per capire la sostanza di tale termine è utile innanzitutto analizzare l’assetto economico delle pattuizioni, nonché i caratteri della causa e della funzione del contratto e dello scambio. Per dissipare i dubbi che derivano dai richiami poco chiari che le disposizioni tributarie fanno del termine “onerosità” (nonché dei correlati concetti di prezzo, corrispettivo, ecc.), la specificazione dovrebbe incentrarsi sulle nozioni di “corrispettività” (per definire cosa si intende per trasferimento a titolo oneroso) e di “corrispettivo” (e di prezzo per comprendere le varie forme di pagamento e di estinzione dell’obbligazione) [18]. La normativa europea non individua in modo univoco il concetto di “onerosità”, che presiede all’applicabilità del tributo, ma la costante giurisprudenza europea [19] ritiene che lo stesso si perfezioni solo nel caso in cui tra cedente e acquirente vi sia un rapporto sinallagmatico (ovvero un rapporto a prestazioni corrispettive) in cui il prezzo ricevuto dal primo rappresenti il valore del bene ceduto: vi deve essere pertanto un “nesso diretto” tra prestazione e controprestazione. Nel caso di specie esaminato dai giudici europei, esiste un rapporto giuridico tra le parti che è unilaterale proprio in virtù della natura intrinseca del tributo che rappresenta un prelievo obbligatorio autoritativo. Le norme, sia comunitarie che nazionali, indicano specificamente la categoria della cessione di beni: l’art. 2, comma 1, D.P.R. n. 633/1972 definisce la cessione di beni come «gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere» [20], mentre, l’art. 14, par. 1, della Direttiva IVA si riferisce al «(...) trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario». Dalla lettura di tali norme, è evidente che l’operazione di cessione di beni si inserisce nell’ambito di un [continua ..]
Una disciplina particolare vigente nel nostro ordinamento, che si collega al caso esaminato dai giudici europei, riguarda la cessione nei confronti dei Comuni di opere di urbanizzazione in luogo di contributi, ritenuta non rilevante ai fini IVA [31] e delle imposte dirette, ai sensi dell’art. 51, L. 21 novembre 2000, n. 342 [32]. Nel diritto interno non esiste una norma generale di esonero dei trasferimenti fatti a favore di enti pubblici, ma l’art. 51, L. n. 342/2000 rappresenta un’eccezione in quanto si dichiara irrilevante la cessione di un bene immobile, a scomputo degli oneri di urbanizzazione primaria o secondaria [33], fatto salvo il diritto di detrazione che spetta alla ditta costruttrice ai sensi dell’art. 19, comma 1, D.P.R. n. 633/1972 [34]. In tal senso, si ricorda che l’Amministrazione Finanziaria è già intervenuta [35] sul punto sostenendo che l’art. 51 tende a superare le contrastanti interpretazioni del-l’amministrazione e della giurisprudenza amministrativa, esplicitando la ratio di rendere uniforme il trattamento fiscale degli oneri di urbanizzazione, indipendentemente dalla modalità di assolvimento (in denaro o mediante cessione di aree e/o di opere). Già con una risoluzione risalente [36]vengono assunte tali conclusioni, affermando che il contributo di urbanizzazione versato dal concessionario non rientra nel campo di applicazione dell’IVA, proprio perché «il rapporto che si pone in essere tra il Comune e il destinatario della concessione non ha natura sinallagmatica, dovendosi riconoscere in esso innegabili caratteristiche di generalità, tipiche del rapporto di natura tributaria. L’obbligazione di fare consistente nella realizzazione di opere di urbanizzazione ha quindi natura di prestazione patrimoniale imposta e viene esclusa dal campo di applicazione dell’Iva analogamente al versamento diretto del contributo». Tale impostazione ha trovato conferma anche in alcune pronunce del giudice di legittimità [37], secondo cui (con riferimento alla cessione di aree per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria nell’ambito di una convenzione di lottizzazione), l’attuazione dell’impegno assunto con detta convenzione, «costituisce modalità alternativa all’assolvimento [continua ..]
Nell’ambito della normativa nazionale, continuando l’analisi della dazione solutoria di un bene immobile, è interessante menzionare la possibilità di pagare, totalmente o parzialmente, determinate imposte mediante la cessione dei beni culturali [44]. In particolare, si fa riferimento all’art. 28 bis, D.P.R. n. 602/1973 [45] che rappresenta, pertanto, anch’essa un’eccezione alla regola generale del versamento delle imposte mediante pagamento in denaro. Essa è indubbiamente un’eccezione positiva in quanto concretizza la possibilità di monetizzare beni culturali (anche immobili), per estinguere debiti tributari, soprattutto se si pensa all’attuale crisi monetaria a cui assistiamo. Allo stesso tempo è un’opportunità limitante proprio perché è un’operazione che sconta l’IVA e non si allinea con quanto pronunciato dalla Corte di Giustizia Europea nel caso “Posnania”. Nel comma 1 dell’art. 28 bis suindicato [46] si fa riferimento alla cessione dei beni culturali per il pagamento di imposte dirette (IRPEF e IRPEG – ora IRES), compresi interessi e sanzioni [47], dell’imposta locale sui redditi e dei tributi erariali soppressi di cui all’art. 82, D.P.R. n. 597/1973, non viene invece fatta esplicita menzione dell’imposta sul valore aggiunto. È intervenuta, in tal senso, l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione 14 febbraio 2002, n. 43/E in cui il Ministero per i Beni Culturali ha chiesto chiarimenti sulla possibilità, per i contribuenti, di assolvere il pagamento dell’IVA mediante cessione dei beni culturali. Nella Risoluzione viene richiamato l’art. 20, D.Lgs. n. 46/1999 [48] il quale prevede che «le disposizioni ... contenute nell’art. 28-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 si applicano esclusivamente alle entrate tributarie dello Stato»; pertanto l’art. 28 bis, e dunque la possibilità di assolvere il pagamento, totale o parziale, attraverso la cessione di beni culturali, è applicabile sia all’IVA, per sua natura entrata tributaria dello Stato, che ad altre somme dovute a titolo di tributo erariale [49]. Ciò è stato confermato successivamente dall’Agenzia delle Entrate [continua ..]
Si osservi che la crisi economica (e di liquidità), ove si riesca a valutarne e dimostrarne l’obiettiva consistenza, rappresenta la ragione per la quale gli imprenditori vorrebbero orientarsi, ad esempio, verso forme di estinzione delle obbligazioni tributarie non mediante pagamento di denaro, ma attraverso forme alternative, in passato meno diffuse anche se conosciute, come la datio in solutum. Proprio in virtù di detta crisi economica (che oggettivamente è una naturale caratteristica del mercato e soggettivamente è una connotazione del singolo operatore, creditore o debitore che sia), l’ordinamento tributario dovrebbe essere in grado di offrire strumenti e regole per trarne vantaggi come se fosse un elemento caratterizzante la disciplina del presupposto d’imposta e del potere di accertamento [60]. Facendo un passo indietro nell’analisi delle fattispecie che caratterizzano il nostro ordinamento tributario, in relazione alla decisione della Corte europea oggetto del presente lavoro, è stato osservato che con riferimento all’art. 51, L. n. 342/2000, la questione dei limiti posti al diritto alla detrazione dell’IVA pagata a monte, a differenza di quanto affermato dalla Corte di Giustizia Europea nel punto 39 della sentenza (la quale riprende le considerazioni dell’AG al punto 44), non rileva, discostandosi in tal modo dalla normativa europea (art. 16 della Direttiva IVA). La questione ha suscitato l’interesse da parte della dottrina già prima della pronuncia definitiva della Corte europea [61]. Si riteneva, infatti, che nel caso in cui la Corte avesse condiviso le conclusioni dell’AG, la disposizione di cui al citato art. 51 avrebbe dovuto subire una modifica nella parte in cui considera irrilevanti tali cessioni ai fini del diritto alla detrazione [62]. In realtà la Corte di Giustizia è giunta allo stesso risultato dell’AG, percorrendo la strada del carattere oggettivo, e non soggettivo, della cessione priva dell’elemento della “controprestazione”. La Corte, infatti, ha statuito che «un’operazione di dazione in pagamento di un bene, che ha come obiettivo l’estinzione di un debito d’imposta, non può essere considerata un’operazione a titolo oneroso, ai sensi dell’art. 2, par. 1, lett. a), della Direttiva IVA, e non può essere assoggettata [continua ..]