Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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L´illegittimità della presunzione di evasione (art. 12, comma 2, D.L. n. 78/2009) (di Giorgio Gavelli-Matteo Targhini)


La riproposizione nel 2009 dello “scudo fiscale” è stata accompagnata, all’interno del c.d. decreto “Milleproroghe” (D.L. n. 78/2009), dall’introduzione nel sistema giu­ridico di una presunzione legale di evasione “per equivalente”.

La novella, incardinata nell’art. 12, comma 2, dispone che «gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato» in violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale di cui all’art. 4 del D.L. n. 167/1990 (convertito dalla L. n. 227/1990), «si presumono costituite, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione» nel nostro Paese.

Numerosi Uffici finanziari hanno azionato lo strumento presuntivo de quo anche in riferimento ad annualità pregresse rispetto alla data di sua entrata in vigore (1° luglio 2009).

Il presente intervento ricostruisce il cammino ermeneutico seguito dalla più autorevole dottrina costituzionale e tributaria al fine di dimostrare, attraverso l’i­dentificazione delle conseguenze della “retrovalutazione giuridica” del passato operata dallo ius superveniens, gli ineludibili profili di illegittimità ai quali si espone l’impiego retroattivo della norma tributaria, in generale, e del meccanismo pre­suntivo in argomento, in particolare.

The unlawfulness of the tax evasion presumption (Art. 12, para. 2, Law Decree No. 78/2009

The 2009 version of the so-called tax shield (Scudo fiscale) in the context of the Law Decree better known as “Milleproroghe” (Law Decree No. 78/2009) has been combined with the provision of a legal presumption of tax evasion “for equivalent”.

The new rule laid down in Art. 12, paragraph 2, provides that «investments and financial activities held in States or territories having a privileged tax regime» in violation of the duties of fiscal monitoring established by Art. 4 of Law Decree No. 167/1990 (converted in Law No. 227/1990), «are deemed, unless proven otherwise, to be made through untaxed income».

Many tax offices have made recourse to the presumption also with reference to fiscal years preceding the date in which the rule was entered into force (1st July 2009).

This article describes the evolution of the most authoritative constitutional and tax literature on this point in order to demonstrate, through the evaluation of the impact that subsequent laws could have on the “legal assessment” of the past, that retroactive application of tax rules, in general, and of the presumptive mechanism under comment, in particular, lead to inevitable unlawful consequences.

1. La (discutibile) ratio ispiratrice dell’art. 12, comma 2 La riproposizione nel 2009 dello “scudo fiscale” è stata accompagnata, all’interno del medesimo testo normativo, dall’introduzione di una presunzione legale di evasione che definiremmo “per equivalente”, incardinata nel­l’art. 12, comma 2, del D.L. 1° luglio 2009, n. 78 (rubricato “Contrasto ai paradisi fiscali”), convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 2009, n. 102. In particolare, la novella introduce nel sistema giuridico tributario una presunzione legale relativa [1] in base alla quale «gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato» in violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale di cui all’art. 4 del D.L. n. 167/1990 (convertito dalla L. n. 227/1990), «si presumono costituite, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione» nel nostro Paese. Come condivisibilmente riscontrato dalla più accorta dottrina, «il consumato schema sincronico seguito dal legislatore» – poggiato non solo sul­l’inasprimento delle sanzioni amministrative connesse alla illecita detenzione di capitali ed attività all’estero ma anche sulla introduzione ex novo di istituti che trovano nel contrasto alla evasione fiscale internazionale la propria fondamentale ragion d’essere – è «evidentemente preordinato ad assicurare il miglior successo delle procedure di emersione spontanea» [2]. In sintesi, la malcelata (e discutibile) ratio ispiratrice del meccanismo presuntivo in parola è l’“incoraggiamento” al ricorso allo “scudo fiscale” al fine di massimizzare le entrate erariali. Evidentemente in uno Stato di diritto quando il fine è così “nobile” è giustificata la legalizzazione della presunzione di evasione “per equivalente” e sono accettabili i potenziali effetti confiscatori ad essa collaterali. Fatta tale doverosa premessa, chi scrive si appresta a ricostruire il cammi­no ermeneutico seguito dalla più autorevole dottrina costituzionale e tributaria al fine di dimostrare, attraverso l’identificazione delle conseguenze della “retrospezione giuridica” del passato operata dallo ius superveniens, gli ineludibili profili di illegittimità ai quali si espone l’impiego retroattivo della norma tributaria, in generale, e del meccanismo presuntivo in argomento, in particolare. Infatti, in mancanza di una precisa indicazione da parte del legislatore del­l’orizzonte temporale di applicazione dello strumento presuntivo de quo, al­l’interprete non resta altro che intraprendere un pellegrinaggio esplorativo alla ricerca di elementi [continua..]

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