Nel mutato contesto normativo di riferimento, la Cassazione riconosce il carattere di negoziazione globale a tutti gli accordi di separazione che, anche attraverso la previsione di trasferimenti mobiliari o immobiliari, siano volti a definire in modo tendenzialmente stabile la crisi coniugale. Quale che sia la forma che i negozi concretamente vengano ad assumere, essi devono intendersi quali “atti relativi al procedimento di separazione o divorzio”, e, come tali, possono usufruire dell’esenzione di cui all’art. 19, L. n. 74/1987.
In the changed legal framework, the Italian Supreme Court acknowledges the character of global negotiation to all separation agreements that – also through the provision of transfers of movable or immovable goods – aim to define the conjugal crisis in a basically stable way. Regardless of their form, these agreements shall be considered as “acts relating to the separation or divorce proceedings”, and, as such, they take advantage of the tax exemption provided by art. 19 of Law no. 74/1987.
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1. Il recente orientamento della Cassazione sull’agevolazione per gli atti di separazione e divorzio - 2. L’orientamento precedente della giurisprudenza tributaria e dell’Amministrazione Finanziaria - 3. La portata del recente orientamento della giurisprudenza di legittimità - 3.1. La natura di contratti tipici degli accordi di separazione e divorzio - 3.2. Segue: … e l’efficacia degli accordi in rapporto al provvedimento giudiziale di omologa - 3.3. L’ambito applicativo dell’esenzione ex art. 19 L. n. 74/1987 alla luce della pronuncia - 4. La ratio dell’esenzione e la sua evoluzione - 5. Il regime fiscale degli atti di separazione e divorzio è un’esenzione o un’esclusione? - 6. La rilevanza della causa del contratto nell’imposizione di registro e il nuovo art. 20 del TUR - NOTE
Con due pronunce [1], passate un po’ sotto silenzio, la Cassazione ha affermato, con riferimento all’agevolazione per gli atti e i trasferimenti effettuati in sede di separazione e divorzio ex art. 19, L. n. 74/1987 [2], un principio degno di nota, discostandosi apertamente da un suo precedente orientamento. Nei casi esaminati, relativi alla stessa vicenda e alla medesima pretesa impositiva per cui i coniugi erano chiamati a rispondere in solido, l’Agenzia delle Entrate dopo aver riconosciuto in sede di registrazione dell’atto di trasferimento di quota d’immobile effettuato in attuazione degli obblighi conseguenti agli accordi di separazione consensuale tra coniugi, i benefici fiscali di cui alla L. n. 74/1987, art. 19, notificava alla contribuente avviso di liquidazione per il recupero dell’imposta di registro e delle ulteriori imposte ipotecaria e catastale, escludendo l’applicazione del trattamento agevolato, secondo l’Ufficio riguardante solo gli atti posti in essere in attuazione degli obblighi connessi all’affidamento dei figli, al loro mantenimento ed a quello del coniuge, oltre al godimento della casa di famiglia. La giurisprudenza di legittimità, respingendo il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria ha invece affermato che l’atto posto in essere dai coniugi ancorché non ‘necessario’ alla separazione (vigendo già tra i coniugi stessi il regime della separazione dei beni) potesse considerarsi comunque esente dalle imposte sui trasferimenti in quanto ‘relativo’ al procedimento. Per comprendere a pieno la portata delle pronunce pare utile svolgere le considerazioni che seguono.
La giurisprudenza tributaria s’è mossa, fin qui, nel solco già tracciato dalla giurisprudenza e dalla dottrina che si sono occupate della questione sotto il profilo sostanziale. In base all’orientamento prevalente è necessario distinguere, infatti, gli accordi di separazione propriamente detti [3], da quelli stipulati “in occasione” della separazione, finalizzati a regolare gli aspetti patrimoniali maturati nel corso del matrimonio e destinati ad assumere un diverso assetto dopo la separazione o il divorzio [4]. Su questa falsariga, ed in base all’indirizzo fino ad oggi consolidato, la giurisprudenza tributaria era orientata a ritenere che l’esenzione di cui all’art. 19, L. n. 74/1987 potesse essere accordata solo agli atti finalizzati allo scioglimento della comunione legale, quale effetto naturale della separazione. Per contro veniva esclusa l’applicabilità dell’esenzione per gli atti solo “occasionalmente” generati dalla separazione, quali quelli volti allo scioglimento della comunione ordinaria [5] e ciò nel presupposto che questi atti o quelli di consimile natura si sarebbero prestati facilmente ad intenti elusivi. In altri termini, la giurisprudenza di legittimità aveva ravvisato il limite per l’applicazione dell’agevolazione in questione nel rapporto di “causalità necessaria” tra atti recanti il trasferimento della proprietà di beni immobili da un coniuge all’altro e il procedimento di separazione o di divorzio, in ragione della finalizzazione dei medesimi atti allo scioglimento della comunione legale. Il nesso di “causalità necessaria”, nel senso prima indicato, tra atto e procedimento di separazione o di divorzio è stato successivamente riconosciuto dalla stessa giurisprudenza di legittimità – con un’apertura rispetto all’indirizzo richiamato – per gli accordi ivi assunti e comportanti attribuzioni anche nei confronti dei figli. Si è in proposito ritenuto che potessero considerarsi inclusi nell’ambito applicativo dell’esenzione gli atti volti a garantire l’adempimento delle obbligazioni assunte per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli [6]. D’altro canto, l’Amministrazione Finanziaria, [continua ..]
Con un “colpo di coda” s’inseriscono, in questo quadro, le pronunce menzionate in epigrafe sciogliendo (quasi) tutti i vincoli di ordine funzionale o meramente formale posti in giurisprudenza (e nella prassi) all’applicabilità del beneficio nelle ipotesi fin qui considerate. In primo luogo, la Cassazione giunge a scardinare l’impostazione tradizionale (civilistica) in base alla quale è necessario distinguere fra accordi finalizzati allo scioglimento della comunione e accordi, di natura patrimoniale, solo occasionati dalla separazione. La Cassazione, infatti, riconosce natura contrattuale a tutti gli accordi volti a dare sistemazione agli assetti, patrimoniali, post crisi coniugale, riconoscendone la tipicità ed individuandone la causa specifica nella definizione in modo non contenzioso e tendenzialmente definitivo della crisi, in tal modo aderendo apertamente ad una tesi già prospettata in dottrina [14]. Rifiutando la distinzione tra accordi di separazione propriamente detti e accordi stipulati “in occasione della separazione”, c’è chi, in dottrina, si mostra da tempo favorevole al pieno ed incondizionato riconoscimento del carattere negoziale delle intese in questione, con conseguente affermazione dell’applicabilità della normativa contrattuale, a cominciare dal principio-cardine costituito dall’art. 1322 c.c., tanto al negozio di separazione personale, che a quello di divorzio su domanda congiunta, che a quelle particolari intese di carattere patrimoniale concluse in sede, in occasione, o anche solo in vista della separazione personale, della separazione di fatto, del divorzio o dell’annullamento del matrimonio. In quest’ottica, la dottrina di cui qui si tratta, seguita in parte dalla giurisprudenza [15], afferma che anche gli accordi che prevedano, nel contesto di una separazione tra coniugi, atti comportanti trasferimenti, debbano essere ricondotti nell’ambito delle “condizioni della separazione” di cui all’art. 711, comma 4, c.p.c. in considerazione del carattere di “negoziazione globale” che la coppia in crisi attribuisce al momento della “liquidazione” del rapporto coniugale, con ciò giustificando la configurazione dei cosiddetti contratti della crisi coniugale come contratti tipici, la cui causa è proprio quella di definire in modo non contenzioso [continua ..]
È stato inoltre evidenziato che, affermando la natura negoziale (e, secondo alcuni, contrattuale) degli atti in questione, è possibile ritenere che gli accordi stessi siano fonte degli effetti in ordine ai quali si è formato il libero consenso dei coniugi. Più in particolare sostiene la dottrina [22], e converge sul punto la giurisprudenza [23], che le determinazioni negoziali dei coniugi possano considerarsi autosufficienti nel senso che gli scopi pratici perseguiti possono essere efficaci anche indipendentemente dal provvedimento del giudice. Il rapporto di tali atti col provvedimento giudiziale dipenderebbe, in base a quanto afferma parte della dottrina, dalla volontà delle parti che ricollega (eventualmente) la loro efficacia al provvedimento stesso ponendosi, quest’ultimo, come evento condizionante. Ovviamente ciò vale solo con riferimento all’attività negoziale diversa dalla volontà di status. Sono infatti previsti dei limiti all’autonomia privata relativi all’indisponibilità degli status familiari e all’inderogabilità dei diritti a questi connessi. È, quindi, differente il rapporto tra accordi aventi contenuto economico e accordi aventi ad oggetto la separazione in senso stretto, le modalità di affidamento e la misura del mantenimento dei figli col provvedimento giudiziale [24]. Nel primo caso il rapporto è puramente eventuale, perché gli effetti e vincolatività dell’accordo non dipendono necessariamente dal formale intervento del decreto di omologazione, godendo i coniugi di ampia autonomia – con il solo rispetto della previsione normativa di cui all’art. 160 c.c. – nel determinare il quando della efficacia di tali accordi. Nel secondo caso, seppur alla stregua di una condicio iuris, l’omologazione si pone come presupposto per l’efficacia della separazione [25]-[26]. La tesi fin qui illustrata, richiamata dalla pronuncia in commento, troverebbe conferma, secondo la Cassazione in ragione della riconosciuta centralità del consenso tra i coniugi nel procedimento di separazione e divorzio nel contesto normativo attuale, in cui s’inseriscono il procedimento negoziazione assistita da avvocati [27] ed il divorzio breve [28], con una conseguente e progressiva [continua ..]
In base alle argomentazioni svolte e fin qui illustrate consegue, secondo i giudici di legittimità, che non può più considerarsi ragionevole il limite all’accesso al regime di favore individuato in ragione del nesso causale dell’atto col procedimento giurisdizionale, atteso che quest’ultimo tende, nel sistema attuale, ad essere svalutato, quanto alla determinazione degli effetti del divorzio e della separazione, a tutto vantaggio dell’autonomia negoziale dei coniugi. In quest’ottica verrebbe meno la distinzione, prospettata dalla stessa giurisprudenza tributaria ai fini dell’applicazione del beneficio, tra ‘atti stipulati in occasione della separazione e del divorzio e ‘atti relativi al procedimento di separazione e di divorzio’ [31]. Sebbene le pronunce menzionate in epigrafe sconfessino apertamente solo l’orientamento in precedenza adottato dalla Corte stessa [32], non si può dire che non possano determinarsi delle ricadute rispetto all’interpretazione adottata nella prassi. In quest’ambito – benché senza operare un netto distinguo tra atti necessariamente finalizzati alla separazione e al divorzio e atti solo occasionalmente ivi generati – l’amministrazione, – s’è visto – ha da sempre legato l’accesso al beneficio alla correlazione (in vario modo intesa) dell’atto al procedimento giurisdizionale, soprattutto al fine di limitare l’accesso all’agevolazione e porre un argine ad eventuali pratiche elusive delle parti. Ebbene, nell’assetto ricostruito dalla Cassazione i “paletti” posti dall’amministrazione parrebbero venire tendenzialmente meno. L’accesso al beneficio sembra trovare un solo limite nella causa dell’accordo volto a dare definizione in modo non contenzioso e tendenzialmente definitivo della crisi coniugale. In definitiva, la Cassazione, fondando la sua pronuncia su tale argomentazione, giunge a confermare la tesi secondo la quale proprio l’elemento causale connota in maniera specifica gli accordi in questione e consente l’individuazione ai fini dell’applicazione dell’agevolazione [33]. Ma l’interpretazione della Cassazione pare spingersi anche oltre (e ciò si può comprendere facendo riferimento alla tesi dottrinale che la giurisprudenza pare [continua ..]
L’interpretazione propugnata dalla Cassazione sposta sicuramente il baricentro dell’esenzione dalla funzione degli atti del procedimento giurisdizionale alla funzione degli atti negoziali fra privati. La ragione sottesa all’introduzione della disposizione di esenzione si è, fino ad oggi, ritrovata nell’esigenza di accordare una specifica tutela agli interessi del nucleo familiare nel delicato momento di scioglimento del vincolo matrimoniale, individuando la sede principe per la tutela di tali interessi nel procedimento giurisdizionale. Quindi, l’individuazione, quale condizione per l’accesso al regime, di una stretta connessione tra l’atto e il procedimento e la limitazione degli atti agevolabili a quelli funzionali allo scioglimento della comunione e/o alla tutela della prole, rispondevano, per lo più, a questa logica. Su questo punto si può, però, osservare che l’interesse alla tutela della famiglia, che trova il suo riferimento costituzionale nell’art. 31 Cost., avrebbe imposto, già ab origine, non l’applicazione dell’agevolazione agli atti relativi ai procedimenti di divorzio e separazione, ma, semmai, una limitazione a quelli collegati al procedimento nel quale si verifica solo una frattura della comunione materiale e spirituale e che lascia aperta la possibilità di una riconciliazione con ricostituzione del vincolo familiare. In altri termini, l’applicabilità dell’esenzione ai procedimenti di divorzio e non solo di separazione – a cui peraltro l’agevolazione è stata solo successivamente estesa – lascia adito a dubbi circa la razionalità e la coerenza dello strumento rispetto al dichiarato fine di attuare l’interesse costituzionalmente tutelato di cui all’art. 31. Si noti in proposito che una analoga tutela e, quindi, un analogo regime non è previsto, né pare ricavabile dall’art. 19 in questione per le ipotesi in cui i coniugi, che abbiano dato un nuovo assetto al loro patrimonio dopo la separazione o il divorzio, decidano di riconciliarsi e ripristinare lo status quo ante. La giustificazione del regime di favore potrebbe meglio ritrovarsi, dunque, nell’art. 3, comma 2, Cost., secondo cui lo Stato deve rimuovere gli ostacoli economici che impediscono il pieno sviluppo della persona umana [35]. Il fondamento [continua ..]
Una prospettiva del tutto diversa potrebbe aprirsi ponendo mente alla circostanza che tra i coniugi corrono molteplici e poco accertabili eventi astrattamente capaci di generare obbligazioni civili e naturali. Appropriazioni, negligenze dannose nella gestione e nell’uso delle cose comuni o proprie dell’altro coniuge possono essere fonte di responsabilità civile; e più ancora sperequazioni nello svolgimento del lavoro professionale o nello svolgimento del lavoro casalingo, prestazioni speciali di assistenza da un coniuge all’altro, rinunce e sacrifici non apprezzabili sul piano normativo e assai difficilmente accertabili in sede giurisdizionale. Tutte le menzionate circostanze potrebbero aver creato stimoli di gratitudine e dovrei di coscienza che spingono a remunerare, a restituire, a riparare e queste rimunerazioni e restituzioni creeranno situazioni di fatto irreversibili. Ne consegue la difficoltà del giudice (e, dunque, di qualunque operatore del diritto) di poter concretamente accertare nell’ambito della fattispecie il quanto della gratuità pura, il quanto della funzione remuneratoria di servizi, il quanto del dovere di coscienza, il quanto dell’obbligazione naturale, il quanto della funzione risarcitoria [37]. Questa particolare conformazione degli atti che intercorrono tra i coniugi dopo lo scioglimento del vincolo matrimoniale o in sede di separazione, pare emergere abbastanza chiaramente nella giurisprudenza di legittimità. In diversi casi, tutti relativi all’attivazione dell’azione revocatoria da parte di uno dei coniugi, la Cassazione, prospettando la necessità di accertare, a prescindere dallo schema utilizzato, la natura onerosa o gratuita dell’atto, ha sostenuto che gli accordi di separazione personale contenenti attribuzioni patrimoniali e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della “donazione”, e rispondono, di norma, allo spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento separazione o divorzio. In ragione di tale precipua caratteristica, gli atti in questione sfuggirebbero, da un lato, alle connotazioni classiche dell’atto di “donazione” vero e proprio (tipicamente estraneo, di per se, ad un contesto – quello della separazione [continua ..]
Quanto, invece, all’altra questione prima menzionata, il problema posto pare collegarsi al tema più generale della rilevanza della causa negoziale nel sistema dei tributi indiretti e dell’imposta di registro in particolare e alla stessa nozione di causa ivi accolta. Di recente il tema è stato oggetto di attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza soprattutto con riferimento al problema dell’abuso del diritto. In realtà la tematica ha una portata più generale e, attualmente, intorno alla nozione di causa quale funzione economico sociale ovvero economico individuale si appunta la riflessione non solo dei civilisti ma anche dei tributaristi in specie con riferimento alle imposte indirette [41]. La questione non è soltanto teorica, in quanto evidentemente l’evoluzione delle categorie sulle quali i tributi si modellano, determina delle importanti ricadute sul sistema di tassazione. Nell’esperienza giurisprudenziale, sempre più di frequente emerge l’apprezzamento della causa reale o concreta dell’atto e le pronunce qui esaminate parrebbero seguire questa tendenza. S’è evidenziato, infatti, nelle pagine precedenti, che risulta indifferente lo schema negoziale utilizzato dai coniugi, si tratti di un atto tipico o meno la sua funzione in concreto (dare sistemazione ai rapporti personali e patrimoniali post separazione o divorzio) è risultata, nell’interpretazione propugnata dalla Cassazione, l’unico elemento rilevante per l’accesso al regime fiscale in questione. In altri termini la predetta funzione (declinata in termini di causa concreta o motivo) fa sì che gli atti possano considerarsi “relativi” al procedimento di separazione o divorzio. Pare evidente, però, che tale apprezzamento implichi e presupponga una visione globale delle operazioni poste in essere dai coniugi con l’evidente necessità di valutazione di circostanze ed elementi esterni all’atto da sottoporre a tassazione. L’atto negoziale posto in essere dai coniugi, infatti, dovrebbe oggi essere considerato autonomamente ed indipendentemente dal provvedimento giudiziale. In base alla opinione consolidatasi prima dell’orientamento qui in esame, l’atto da valutare per l’applicazione del regime in questione rimaneva pur sempre il provvedimento giudiziario [42], [continua ..]