L’ordinanza consolida l’orientamento della Suprema Corte sui termini per la presentazione della domanda di insinuazione al passivo avente ad oggetto i crediti tributari, ponendo condivisibilmente sullo stesso piano le diverse categorie di creditori. Inoltre, nel solco del principio scolpito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sent. n. 4126/2012, correttamente si distingue l’operato dell’ente impositore dalla condotta dell’agente della riscossione allo scopo di valutare l’eventuale giustificabilità del ritardo nella presentazione della domanda.
The order consolidates the Supreme Court’s approach on the terms for the presentation of lodging of claims concerning tax debts, correctly placing the different categories of creditors on the same level. Furthermore, following the principle set by the Grand Chamber of the Supreme Court, with decision no. 4126 of 2012, it is properly distinguished the activity of tax authorities from the conduct of the tax collection agent in order to assess the possible justifiability of the delay in submitting the application.
Keywords: tax claims, insolvency procedures, application for lodging of claims, terms of presentation, delay
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- 1. La fattispecie esaminata dalla Corte di Cassazione - 2. La trama argomentativa: a) l’impossibilità di derogare ai termini previsti dal diritto fallimentare e la parità di trattamento dell'Erario rispetto al restante ceto creditorio - 3. Segue: b) la necessità di valutare il comportamento dell’ente impositore - NOTE
Con l’ord. 26 settembre 2018, n. 23159 la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema di ampio spessore teorico avente ad oggetto il complesso e problematico rapporto tra le norme tributarie e quelle fallimentari e le regole interpretative applicabili allorquando tra i due sistemi normativi intervengono profili di reciproco contrasto non conciliabili razionalmente in forza dei canoni ermeneutici ordinari [1]. In questi casi, infatti, una delle due norme è destinata a prevalere ma il giudizio di ponderazione e di prevalenza impone di individuare l’interesse meritevole di maggior tutela rispetto a quello sacrificato che spesso si inquadra in quelli, più ampi, perseguiti dai rispettivi settori del diritto come abbiamo più volte evidenziato in altre sedi [2].
La questione risolta dalla Suprema Corte attiene al contrasto tra i termini per la presentazione della domanda di ammissione al passivo, di cui all’art. 101 L. fall., e quelli previsti dalla legge fiscale per la formazione dei ruoli e per la notifica delle cartelle di pagamento. In merito ai primi, la legge fallimentare individua tre regimi ai quali corrispondono prerogative diverse per il creditore: a) il termine di cui all’art. 93 L. fall. per le domande cosiddette tempestive (ovvero «almeno trenta giorni prima dell’udienza fissata per l’esame dello stato passivo»); b) il termine di cui al comma 1 dell’art. 101 per le domande cosiddette tardive (ovvero «non oltre trenta giorni prima dell’udienza fissata per la verifica del passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo»); c) infine, il termine di cui all’ultimo comma dell’art. 101 per le domande cosiddette ultratardive (ovvero «decorso il termine di cui al primo comma e comunque fino a quando non siano esaurite tutte le ripartizioni dell’attivo fallimentare») ma in questo caso la norma subordina l’ammissibilità della domanda alla prova «che il ritardo è dipeso da causa a lui(ovvero il creditore) non imputabile». Tale valutazione compete al giudice di merito e sfugge al sindacato di legittimità se è assistita da una congrua ed adeguata motivazione. La ratio della successione delle scadenze in ambito endofallimentare è di agevole individuazione perché tende a sollecitare la partecipazione del creditore ai fini della rapida definizione del passivo concorsuale. Per tale ragione le sue prerogative si affievoliscono man mano che si dilata il ritardo nella presentazione della domanda in quanto: a) per le domande tardive è escluso il rischio della inammissibilità della domanda ma il creditore può subire un pregiudizio rispetto alla ripartizione dell’attivo perché gli è riconosciuto il «diritto di prelevare le quote che sarebbero loro spettate nelle precedenti ripartizioni se assistiti da causa di prelazione o se il ritardo è dipeso da causa ad essi non imputabile» ai sensi dell’art. 112 L. fall.; b) mentre il regime delle domande ultratardive è razionalmente [continua ..]
Prima di passare all’esame dei principi enunciati dall’ordinanza in esame non è superfluo evidenziare che la possibilità di derogare ai termini previsti dalla legge fallimentare per l’ammissione al passivo dei crediti tributari non è una questione nuova in quanto è stata già esaminata dalla giurisprudenza di legittimità ed ha favorito un orientamento che ormai può considerarsi univoco [6]: quello, cioè, che non consente di considerare giustificato e scusabile il ritardo nella presentazione della domanda per il solo fatto che l’agente della riscossione si è attenuto ai termini fiscali di formazione dei ruoli e di notifica della cartella di pagamento a scapito di quelli endofallimentari. Con la conseguenza che il giudizio sull’eventuale inerzia del creditore oppure sugli altri elementi di colpevolezza ai fini della “tardività” o della “ultratardività” della domanda è rimesso alla cognizione del giudice fallimentare che giudicherà sulla base delle ragioni autonomamente opposte e documentate in occasione della presentazione della domanda [7]. In questa prospettiva, quindi, trova un’ulteriore conferma il principio generale che equipara le diverse categorie di creditori sul piano degli oneri, documentali e probatori, e dei termini previsti dalla disciplina fallimentare, senza che possano invocarsi profili di specialità o prerogative di alcun tipo riconducibili alla natura del credito; a nostro avviso, esso è ampiamente condivisibile ed esprime una corretta e razionale ponderazione tra le diverse categorie di interessi in quanto, come si è avuto modo di sottolineare in più occasioni, la meritevolezza del credito tributario è tutelata, sul piano sostanziale, dal titolo di preferenza particolarmente qualificato sicché sarebbe irrazionale riconoscergli un ulteriore favor processuale, procedimentale e sul piano delle regole che disciplinano lo svolgimento della procedura concorsuale in assenza di copertura legislativa [8]. Tuttavia, la trama argomentativa privilegiata dalla Corte di Cassazione consente di cogliere anche qualche aspetto meno scontato in quanto la questione di fondo può essere valutata sotto due profili distinti. Il primo ribadisce il principio noto [continua ..]
Più interessante, invece, è il secondo profilo, anche se esaminato in modo telegrafico, che attiene al principio per valutare la scusabilità del ritardo sulla base della condotta del creditore. Infatti, è riproposta la regola enunciata dall’ord. n. 20910/2011, che impone al creditore di attivarsi nei «tempi strettamente necessari all’ente impositore per predisporre i titoli per la tempestiva insinuazione dei propri crediti al passivo» e che merita di essere valutata nel contesto di altre importante pronunce intervenute nel frattempo per provare a declinarla in concreto ai fini della valutazione del giudice delegato. Infatti, l’ordinanza correttamente distingue la figura dell’agente della riscossione, che provvede alla prestazione della domanda di ammissione al passivo ai sensi dell’art. 89, D.P.R. n. 602/1973, dall’ente impositore ed obbliga a valutare la condotta di quest’ultimo perché «ciò che rileva è il comportamento dell’ente impositore nella fase di predisposizione dei ruoli al fine di accertare se lo stesso, una volta avuta cognizione della dichiarazione di fallimento, si sia attivato per procedure volte a tal fine». Ai fini della valutazione del ritardo, quindi, in primo luogo occorre considerare l’operato dell’ente impositore, per verificare se il titolo dell’iscrizione a ruolo è stato formato in tempi ragionevoli e coerenti con quelli imposti dallo svolgimento della procedura fallimentare, e solo in seconda battuta la condotta tenuta dall’agente della riscossione per quanto riguarda la notifica della cartella di pagamento. Tale conclusione altro non è che la coerente applicazione della decisione della Suprema Corte, a sez. un., 15 marzo 2012, n. 4126 [12] (alla quale è seguita la sentenza, sempre a sez. un., 2 ottobre 2015, n. 19704, per una questione strettamente collegata [13]) nonostante abbia ricevute numerose critiche in dottrina per la sostanziale svalutazione dell’art. 89, D.P.R. n. 602/1973 [14]: essa, infatti, ha sovvertito l’orientamento precedente ed ha riconosciuto la legittimazione concorrente dell’ente impositore ad azionare il credito nella fase di ammissione al passivo in aggiunta a quella dell’agente della riscossione, precisando che a questi fini non è necessario [continua ..]