Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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La presunzione di distribuzione degli utili nelle 'piccole' società di capitali tra ragione fiscale e difesa del contribuente (di Giuseppe Scanu)


Il lavoro analizza le problematiche che la presunzione di distribuzione degli utili nelle “piccole” società di capitali solleva in relazione al principio di giusta imposizione e cerca di tracciare una linea che contemperi le contrapposte esigenze del­l’accertamento e della difesa del contribuente.

Stabilito che la ristretta base societaria può costituire un mero indizio della distribuzione degli utili e che il fatto certo non può che rintracciarsi nell’eventuale reddito d’impresa accertato in capo alla società, il punto focale della questione è calibrare correttamente il riparto dell’onere della prova e, sostanzialmente, si risolve nel quesito «chi (e cosa) prova cosa».

Posto che il ragionamento induttivo si presta a non poche obiezioni e che l’onere della prova in ordine all’accertamento del reddito societario debba ricadere in capo all’ufficio, la possibilità di neutralizzare la presunzione de qua dipende dalla capacità del contribuente di valorizzare ogni elemento di segno opposto, anche solo presuntivo, utile a vincere la presunzione e non limitarsi ad invocare l’il­legittimità della rettifica perché implicante una duplice presunzione o una probativo diabolica.

The presumption of profits distribution in 'small' capital companies between interest tax and defense of taxpayer

This paper analyzes the problems raised by the presumption of profit distribution in “small” companies with regard to the principle of fair taxation and tries to reconcile the requirements of the tax assessment with the taxpayer’s protection.

Given that the restricted number of shareholders is a mere clue of the distribution of profits and that the only certain circumstance is the business income assessed by the Tax Administration, the main point remains the allocation of the burden of proof between the taxpayer and the Revenue Agency.

Provided that inductive reasoning is open to many objections and that the Tax Administration should bear the burden of proof concerning the assessment of business income, the chance to neutralize the presumption in question lies on the taxpayer’s abili­ty to bring out such circumstances, even just presumptive, useful to overcome the presumption, not limiting his defence to the illegality of the tax assessment because it involves a double presumption or a probatio diabolica.

1. Introduzione Il tema della presunzione della distribuzione degli utili extrabilancio in capo ai soci di società di capitali “piccole” [1], connotate dalla ristretta base proprietaria o familiare – ormai un topos nella giurisprudenza ed in dottrina [2] – è ben lungi dall’essere pervenuto ad un approdo pienamente soddisfacente che davvero contemperi le contrapposte esigenze dell’accertamento e della difesa del contribuente. Ed, invero, le questioni sollevate sono molteplici e assai delicate investendo il riparto dell’onere della prova e l’obbligo di motivazione della pretesa impositiva, nonché l’inopponibilità al fisco dello schermo societario e, in ultimo, la stessa tenuta del principio di giusta imposizione ex art. 53 Cost. in esito ad un giusto processo ex art. 111 Cost. – e, ancor prima, di un corretto contraddittorio procedimentale – che non risulti condizionato dalla preminenza della ragione fiscale. Le ricadute possono rivelarsi dirompenti se si considera che il tessuto imprenditoriale italiano è fatto, in gran parte, di piccole e medie imprese, spesso a carattere familiare e che il margine che si offre alla prova della mancata percezione (o alla diversa destinazione) degli utili appare, in molti casi, affie­volirsi avvicinandosi ad una probatio diabolica. 2. La s.r.l. quale prototipo (non necessariamente coincidente) della “piccola” società di capitali Una volta emesso l’atto impositivo nei confronti di una società di capitali a ristretta compagine sociale e liquidato le imposte a carico della stessa, costituisce prassi degli uffici quella di emettere distinti avvisi di accertamento (c.d. avvisi singolari) a carico di ognuno dei soci della medesima imputando pro quota il reddito d’impresa accertato in capo alla società da assoggettarsi, quindi, a tassazione ex art. 47 del D.P.R. n. 917/1986 quale reddito di capitale ex art. 44, lett. e) in misura corrispondente agli utili che si presumono esser stati occultamente percepiti nello stesso periodo d’imposta nel quale son stati accertati [3]. In sostanza, l’attribuibiltà ai soci degli utili extrabilancio si fonda unicamente sull’argomento presuntivo (i.e. presunzione semplice) secondo il quale, nell’ambito delle società di capitali a ristretta base partecipativa, dal vincolo di solidarietà e reciproco controllo connaturato ai pochi soci non può che inferirsi, salva la prova contraria che il socio sia in grado di fornire (anche in ordine all’assenza o alla diversa misura del reddito distribuibile), la celata distribuzione del maggior utile accertato a carico della società. Una prima questione attiene alla individuazione [continua..]

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