L’articolo affronta il tema del trattamento del credito tributario nell’ambito del concordato fallimentare. Il punto di partenza è rappresentato dalla constatazione che né il legislatore né la giurisprudenza si sono mai preoccupati di regolamentare la sorte del credito erariale nell’ambito del concordato fallimentare. Ciò nonostante, considerazioni di ordine sistematico suggeriscono due soluzioni per prospettare, almeno sul piano teorico, la possibilità di giungere alla falcidia del credito erariale nell’ambito del concordato fallimentare: l’applicazione delle disposizioni dettate in tema di transazione fiscale o l’applicazione delle regole generali del concordato fallimentare. La scelta impone un’attenta riflessione sulla ratio e sulla funzione della transazione fiscale, chiarendo, in particolar modo, se questa si ponga o meno in posizione derogatoria rispetto al principio dell’indisponibilità del credito tributario.
The article deals with the credit of the tax administration in the context of a debt agreement. The starting point is the observation that the fate of that credit has never been clarified by the legislator or the courts. Nevertheless, systematic considerations suggest two solutions useful to envisage, at least from a theoretical point of view, the possibility of reducing the credit of the tax administration during a “concordato fallimentare”: the application of provisions related to the tax arrangement or the application of the general rules concerning the debt agreement. The choice requires careful analysis of the ratio and the function of the tax arrangement, clarifying, in particular, whether or not the latter derogates the principle of unavailability of the credit of the tax administration.
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1. Considerazioni preliminari sulla mancanza di una disciplina ad hoc per il trattamento del credito tributario nel concordato fallimentare - 2. La c.d. transazione fiscale di cui all’art. 182 ter L. fall. ed il principio di indisponibilità del credito tributario - 3. Le recenti modifiche all’art. 182 ter L. fall. e il loro impatto sul trattamento del credito tributario nel concordato fallimentare - 4. Sulla ratio e sulla funzione del novellato art. 182 ter L. fall. - 5. L’ipotesi dell’applicazione analogica del novellato art. 182 ter L. fall. al concordato fallimentare - 6. Ragioni di ordine sistematico per l’estensione delle regole sostanziali di cui all’art. 182 ter L. fall. al concordato fallimentare - NOTE
Oggetto del presente lavoro è l’indagine sulla sorte del credito erariale nell’ambito del concordato fallimentare, vale a dire, di quell’istituto, disciplinato dagli artt. 124 s. L. fall., che, come noto, è finalizzato a realizzare la chiusura del fallimento attraverso un accordo tra il soggetto proponente ed i creditori concorsuali, omologato dal Tribunale. Il punto di partenza è rappresentato dalla constatazione che nel concordato fallimentare – a differenza di quanto avviene per il concordato preventivo [1] – manca una disposizione sulla transazione fiscale: l’art. 182 ter L. fall. si riferisce, infatti, esclusivamente al piano di cui all’art. 160 e all’accordo di cui art. 182 bis L. fall. [2]. Quid iuris, dunque, allorquando fra i debiti concorsuali vi sono debiti erariali, i quali, peraltro, potrebbero derivare da omessi versamenti di imposte proprie dichiarate (IRES, IRPEF, IRAP), da omessi versamenti di IVA o di ritenute dichiarate, da rilievi contenuti in avvisi di accertamento o atti impositivi in genere oggetto di contestazione? Trovo che sia curioso e, al tempo stesso, significativo che nei vari interventi normativi che si sono succeduti dalla riforma del diritto fallimentare del 2006, che hanno riguardato la transazione fiscale, mai il legislatore si sia preoccupato di regolamentare i rapporti tra concordato fallimentare e crediti tributari, quasi a voler indicare un disinteresse per le peculiarità del credito erariale e per gli interessi pubblici allo stesso sottesi rispetto alla fase di chiusura delle procedure fallimentari [3]. Il tema è, peraltro, rimasto molto ai margini anche del dibattito dottrinale e della giurisprudenza [4]. L’unico intervento normativo che ha riguardato i rapporti tra crediti fiscali e concordato fallimentare è contenuto nell’art. 29, D.L. n. 78/2010, che ha introdotto nell’art. 87, D.P.R. n. 602 il comma 2 bis, al fine di precisare che il voto in sede concordataria va espresso (nelle forme di cui all’art. 127 L. fall.) dall’Agente della riscossione in base ad una formale autorizzazione dell’Agenzia delle Entrate [5]. Disposizione che è stata letta come un implicito riconoscimento della praticabilità di una falcidia dei crediti tributari nel contesto del concordato fallimentare, peraltro [continua ..]
In effetti, in questa direzione ha spinto l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità sui rapporti tra concordato preventivo e transazione fiscale, evoluzione dapprima passata per le sentenze c.d. gemelle del 2011 [7] e culminata, successivamente, nelle Pronunce, sez. un., 27 dicembre 2016, n. 26988 e 13 gennaio 2017, n. 760 (anch’esse “gemelle”, nel contenuto) che hanno sancito la percorribilità della via del concordato preventivo senza transazione fiscale, riconoscendo la facoltatività della transazione fiscale e la falcidiabilità del credito tributario, anche previlegiato, nell’ambito del piano di cui art. 160 L. fall., peraltro senza i limiti dell’intangibilità dei crediti IVA [8], allora previsti dall’art. 182 ter, nella versione previgente rispetto alle modifiche introdotte dalla L. 11 dicembre 2016, n. 232 [9]. Si tratta di una configurazione della transazione fiscale come un sub-procedimento speciale ed eventuale rispetto al concordato preventivo – la cui previsione si giustificava per i diversi effetti che la stessa produceva, quanto all’adesione del fisco e alla certezza in merito all’entità del debito ed alla chiusura nelle cause – la quale postulava che il tema della falcidiabilità del credito tributario fosse, di fatto, sganciato dal consenso dell’Amministrazione Finanziaria e potesse derivare – al di fuori del sub-procedimento di transazione fiscale – per effetto del formarsi delle maggioranze concordatarie [10], nel rispetto delle condizioni e dei vincoli previsti della legge fallimentare (art. 160 s.) e sotto il controllo del giudice e degli organi della procedura. Dunque, la cesura tra l’effetto dello stralcio del credito tributario ed il procedimento di transazione legittimava l’estensione di tale paradigma [11] anche al concordato fallimentare, specie alla luce della vicinanza rilevabile sotto il profilo strutturale tra quest’ultimo ed il concordato preventivo, entrambi caratterizzati dall’esistenza di un accordo con i creditori, che si forma sulla base di un piano di ristrutturazione, che viene approvato dalla maggioranza dei creditori, sotto il controllo giudiziale. Peraltro, giova segnalare che il grande tema dell’indisponibilità dell’obbligazione [continua ..]
Senonché, dobbiamo ora chiederci come si configuri il rapporto tra concordato fallimentare e credito tributario alla luce delle modifiche normative sulla transazione fiscale [18] – introdotte dalla L. n. 232/2016 – che la pongono come modalità esclusiva, nell’ambito del concordato preventivo, per giungere ad un accordo transattivo con l’Amministrazione Finanziaria [19]. In particolare, l’uso dell’avverbio «esclusivamente» (nel corpo del novellato art. 182 ter) mi pare lasci trasparire l’intento del legislatore di sovvertire la ricostruzione operata dalle Cassazione in termini di facoltatività della transazione fiscale rispetto al concordato preventivo [20]. Ed anche i primi commenti sembrano confermare la necessarietà della transazione fiscale per giungere alla falcidia o alla dilazione del credito erariale [21]. In effetti, se guardiamo alla struttura semantica della disposizione è difficile dire che essa lasci aperta la possibilità di un concordato preventivo senza proposta di transazione ex art. 182 ter, dunque senza l’attivazione della procedura ivi delineata [22], allorquando si intenda ottenere una riduzione del credito tributario o una sua rateazione. Ebbene, come impatta la mancata estensione della nuova formula dell’art. 182 ter al concordato fallimentare? Mi pare sarebbe eccessivo ritenere che la mancata estensione impedisca di pervenire al concordato fallimentare in presenza di debiti tributari (di cui si prospetti la falcidia), giacché si tratterebbe di un’ipotesi che non trova alcun espresso riferimento normativo e che, anzi, sarebbe contraddetta dalla disposizione dell’art. 87, D.P.R. n. 602, non espressamente abrogata dalla L. n. 232/2016; così come sarebbe eccessivo ritenere che, per giungere al concordato fallimentare, sia necessario pagare per intero i debiti tributari [23], realizzandosi così una palese alterazione dell’ordine delle prelazioni, il cui impatto e la cui rilevanza sistematica dubito che potrebbero essere ricavati “per implicito” da una “non previsione” del legislatore (con riferimento al concordato fallimentare). Si tratterebbe, in sostanza, di modifiche troppo pesanti, oltretutto contrarie rispetto ad una tradizione giurisprudenziale consolidata [24], per essere [continua ..]
La scelta mi sembra dipenda, anzitutto, dalla ratio e dalla funzione che si vogliono attribuire al nuovo art. 182 ter, il quale reca in sé connotati sia di carattere procedimentale, sia di natura sostanziale. Sul piano procedimentale, infatti, l’art. 182 ter disciplina le modalità di presentazione della proposta e i documenti da produrre [26], oltre alle modalità e ai tempi della liquidazione dei debiti tributari [27], ed individua i soggetti chiamati ad esprimere il voto sulla proposta di concordato [28], in sede di adunanza dei creditori ovvero nei modi previsti dall’art. 178, comma 4, L. fall. [29]. Si tratta di prescrizioni coerenti rispetto al momento in cui ci si colloca, anteriore all’apertura del fallimento, necessarie per giungere ad una quantificazione esaustiva del debito tributario e che sarebbero tuttavia superflue per il concordato fallimentare, dal momento che, normalmente, il credito tributario dovrebbe essere già insinuato al passivo [30]. Da questo punto di vista, dunque, la mancata estensione della disciplina di cui all’art. 182 ter al concordato fallimentare può essere considerata come una ragionevole presa d’atto delle differenze che, dal punto di vista temporale e procedimentale, intercorrono tra i due istituti. Sotto il profilo sostanziale, invece, la questione si presenta più complicata. L’art. 182 ter reca, infatti, una serie piuttosto articolata di limiti alla falcidiabilità del credito erariale, i quali ricalcano le prescrizioni dettate, in generale, dall’art. 160 L. fall., con alcuni elementi di specializzazione. In particolare, a) per i crediti assistiti da cause di prelazione, il legislatore, novellando l’art. 182 ter, ha previsto che la soddisfazione non possa avvenire in misura inferiore a quanto ricavabile dalla liquidazione [31] dei beni sui quali sussiste la causa di prelazione [32]; b) per i crediti erariali privilegiati, inoltre, si prescrive che il piano non possa prevedere un trattamento (in termini di “percentuale”, “tempi di pagamento” ed “eventuali garanzie”) inferiore o meno vantaggioso [33] rispetto a quello offerto ai creditori con grado di privilegio minore ovvero, in caso di suddivisione in classi, a quelli con posizione giuridica e interessi [continua ..]
Tanto chiarito in ordine a quelle che appaiono essere la ratio e la funzione della disposizione di cui all’art. 182 ter, si tratta ora di verificare se sia percorribile l’ipotesi dell’applicazione analogica della stessa al concordato fallimentare. Come ho detto in precedenza, formalmente si potrebbe prospettare l’esistenza di una lacuna normativa [42], intesa quale mancanza di una normazione ad hoc quanto al trattamento del credito tributario nell’ambito del concordato fallimentare, che il legislatore non ha inteso colmare, neppure con l’ultimo intervento di fine 2016. Esiste, poi, una norma (l’art. 182 ter, per l’appunto) che disciplina una situazione per molti aspetti simile, attese le analogie che sussistono sia dal punto di vista strutturale, sia delle finalità [43], sia della natura [44], tra il concordato preventivo e quello fallimentare e tra le esigenze connesse al credito tributario nelle due circostanze [45]. Sicché, per dar seguito all’ipotesi dell’applicazione analogica dell’art. 182 ter al concordato fallimentare, si dovrebbe escludere che tale disposizione rientri tra quelle che «fanno eccezione» [46], le quali – giusta quanto dispone l’art. 14 delle preleggi – non possono essere applicate «oltre i casi e i tempi in esse indicati». Ebbene, come ho già detto in precedenza, non sono convinto che la disciplina della transazione fiscale di cui all’art. 182 ter si ponga in posizione derogatoria rispetto al principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, giacché mi sembra che, con tale novellata disposizione, il legislatore abbia inteso fissare i requisiti sostanziali e procedimentali al cui verificarsi l’Amministrazione Finanziaria può esprimere voto favorevole alla proposta di concordato preventivo [47], ovvero al cui verificarsi la proposta di concordato può essere omologata anche in caso di voto contrario dell’Amministrazione. Tale voto favorevole, tuttavia, non sembra sottendere, nella sostanza, una vera e propria rinuncia al credito tributario, bensì, piuttosto, una presa d’atto dell’inesigibilità parziale dello stesso, sulla scorta di valutazioni attendibili (perché basate su attestazioni di soggetti [continua ..]
Nondimeno, qualora si ritenesse che la disciplina della transazione fiscale di cui all’art. 182 ter rappresenti una deroga rispetto al principio dell’indisponibilità del credito tributario oppure non si ravvisasse l’esistenza, nell’art. 124 L. fall., di una lacuna normativa in senso proprio [49], e si ritenesse che, pertanto, la disciplina di cui all’art. 182 ter non possa essere applicata analogicamente al di fuori dei casi dalla stessa previsti (cioè al di fuori del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti), si dovrebbe in sostanza riconoscere che con l’art. 182 ter il legislatore abbia inteso integrare la disciplina del solo concordato preventivo, rendendo sì obbligatoria la proposta di transazione fiscale con le sue regole sostanziali e procedimentali ma solo rispetto a tale istituto (e dell’accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182 bis L. fall.). A ben vedere, peraltro, qualora si considerasse l’art. 182 ter come derogatorio rispetto al principio dell’indisponibilità del credito tributario, si dovrebbe più radicalmente ritenere che, al di fuori del concordato preventivo (e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti) non sia neppure consentita la falcidia del credito tributario [50], con la conseguenza – come detto, davvero difficile da accettare sul piano sistematico – di collocare, nell’ambito del concordato fallimentare, il credito tributario (anche quello di natura chirografaria) in una posizione “superprivilegiata”, in quanto migliore rispetto ai crediti che hanno rango poziore in base alle altre norme dell’ordinamento. È chiaro, dunque, che, ragionando in queste prospettive, si accentuerebbe la distanza tra il concordato preventivo e il concordato fallimentare, giacché, in presenza di un credito tributario, si dovrebbe ritenere che – mentre nelconcordato preventivo, il piano deve contenere certe previsioni (art. 182 ter, comma 1) [51], in assenza delle quali l’Amministrazione non può esprimere voto favorevole, debbono essere seguite certe regole procedimentali (art. 182 ter, comma 2) e il voto deve essere espresso da certi soggetti (art. 182 ter, commi 3 e 4) – nell’ambito del concordato [continua ..]