La Corte costituzionale ha ritenuto legittimo il regime della responsabilità fiscale per le società partecipanti ad una scissione e, in particolare, la circostanza che tale responsabilità sia solidale e senza alcuna limitazione pecuniaria in antitesi a quanto previsto dal codice civile che prevede che essa sia limitata al valore del patrimonio acquisito per effetto dell’operazione. Il nucleo sostanziale della sentenza è rappresentato dalla specialità della materia tributaria che, come tale, giustifica un regime differente (e di maggiore favore per il Fisco) rispetto a quanto prescritto dal codice civile. La tesi è molto tradizionale nella giurisprudenza costituzionale e preserva lo status quo. Non mancano tuttavia le perplessità sulle argomentazioni impiegate dai giudici costituzionali a fondamento della propria decisione.
The constitutional Court has confirmed the legitimacy of the regime concerning the tax liability of companies participating in a demerger and, in particular, the circumstance according to which such responsibility is joint and without limitation although the civil code consider it limited to the value of the assets purchased within the transaction. The hardcore of the judgement consists in the special nature of tax matters, which, as such, justifies a different (and more favorable for the tax authorities) regime from that one provided by the civil code. The position is very traditional in the constitutional jurisprudence and it preserves the status quo. However, several doubts arise in relation to the grounds of the decision adopted by the constitutional judges.
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1. Premessa: la disciplina della responsabilità fiscale in materia di scissione - 2. Una breve sintesi dell’iter argomentativo tracciato nella sentenza in esame - 3. I profili di opinabilità delle argomentazioni sviluppate dalla Corte costituzionale circa la specialità della materia tributaria - 4. Conclusioni - NOTE
La sentenza in commento [1] ha un esito che può apparire scontato ma è meritevole di riflessione. L’iter decisionale sviluppato dalla Corte costituzionale per rigettare la questione rimessa alla propria attenzione, infatti, si muove lungo una linea che si potrebbe definire difensiva e di sistema ma non è del tutto esente da potenziali debolezze argomentative ed è proprio tale circostanza a garantire interesse alla pronunzia. Il thema decidendum non era particolarmente innovativo. Il regime di responsabilità fiscale illimitato (vale a dire senza limitazione pecuniaria) e solidale delle società partecipanti ad una scissione a fronte dei debiti della entità scissa riferibili a periodi d’imposta anteriori all’efficacia giuridica dell’operazione: vale a dire quello che in dottrina viene definito, con espressione evocativa, quale regime di supersolidarietà e trova la propria definizione normativa nel combinato disposto dell’art. 173, comma 13, TUIR e dall’art. 15, D.Lgs. n. 472/1997 [2]. Ebbene quali i termini della questione affrontata dalla Corte? Il giudice remittente dubitava della legittimità di tale istituto in ordine a due riferimenti costituzionali. Il primo era il principio di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.; e ciò in quanto il regime di responsabilità fiscale delle società partecipanti ad una scissione sarebbe (ingiustificatamente) tracciato in maniera difforme dal diritto comune in quanto – a fronte della supersolidarietà tributaria – gli artt. 2506 bis e 2506 quater c.c. prevedono una responsabilità limitata alla sola quota di patrimonio netto (effettivo) rimasto in capo alla scissa ovvero attribuita a ciascuna delle beneficiarie. Il secondo riferimento costituzionale asseritamente violato (secondo la prospettazione del giudice remittente) era quello di capacità contributiva ex art. 53 Cost. perché la responsabilità illimitata di tutti i soggetti partecipanti all’operazione impedirebbe di parametrare l’obbligazione tributaria alla rispettiva forza economica di ciascuno di essi. La soluzione declinata dalla Corte – come anticipato – è stata negativa [continua ..]
Come anticipato la Corte ha ritenuto infondate le censure formulate dal giudice a quo. Le ragioni sviluppate nella sentenza sono plurime ma suscettibili di sintesi nel senso che segue. In particolare, il nucleo essenziale del ragionamento condotto dai giudici costituzionali può ravvisarsi nella valorizzazione della specialità dei crediti tributari (e più in generale della materia tributaria) che costituirebbe la ratio giustificativa del trattamento difforme riservato agli stessi in sede di scissione rispetto a quanto previsto per le posizioni di natura differente, vale a dire per i crediti extrafiscali. Costituirebbero prova palese della peculiarità dei crediti tributari la natura speciale della giurisdizione tributaria, l’analoga caratteristica della procedura di riscossione coattiva (chiaramente divergente dall’esecuzione ordinaria), nonché la circostanza che i crediti tributari sono assistiti da forme di privilegio più intense di quelle che l’ordinamento garantisce ai crediti di natura differente. Ugualmente significative di una specialità della materia tributaria rispetto al diritto comune sarebbero, ad avviso dei giudici costituzionali, la sussistenza di presidi punitivi e mezzi di tutela più efficaci ed invasivi come il delitto di sottrazione fraudolenta di cui all’art. 11, D.Lgs. n. 74/2000 ovvero la possibilità di ricorrere all’ipoteca ed al sequestro conservativo ex art. 22, D.Lgs. n. 472/1997 fermo restando il possibile ricorso al tradizionale rimedio civilistico dell’azione revocatoria disciplinata dall’art. 2901 c.c. Nella sentenza, peraltro, non manca la menzione di ulteriori elementi che configurerebbero – secondo l’ordito argomentativo – una sorta di fil rouge idoneo a dare conto di come la responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c. sia stata plasmata dal legislatore in maniera differente in ambito tributario rispetto a quanto previsto in altri settori dell’ordinamento. Vengono così citati quali elementi segnaletici di uno scostamento della disciplina tributaria (più favorevole al creditore Erario) da quella ordinaria il regime della responsabilità fiscale in caso di estinzione della società come introdotto dal D.Lgs. n. [continua ..]
Come anticipato la pronunzia della Corte costituzionale si colloca sotto molti profili in una direttrice interpretativa tradizionale: la specialità dei crediti tributari ed il tendenziale favor nei confronti della posizione del creditore Erario (alla luce del rilievo sistematico che assume l’esigenza di assicurare il regolare adempimento delle obbligazioni tributarie) sono tutti criteri da tempo tracciati dalla giurisprudenza costituzionale allo scopo di escludere un eventuale vulnus ai principi di uguaglianza e ragionevolezza. Né in qualche maniera appare particolarmente innovativa la valorizzazione (per negare la violazione del principio di capacità contributiva) da parte della Corte dell’azione di regresso pro quota nei confronti degli altri obbligati in solido quale strumento per riequilibrare un’esecuzione sproporzionata sotto il profilo economico. Se, tuttavia, gli argomenti sviluppati nella sentenza in commento sono in ultima analisi tradizionali non per questo essi risultano senz’altro convincenti e non è perciò del tutto fuori luogo prospettare un’analisi critica (o, comunque, parzialmente divergente) degli stessi [13]. A cominciare dal fulcro sui cui la Corte ha sviluppato la propria conclusione in termini di negazione di ogni possibile violazione dell’art. 3 Cost.: vale a dire l’affermata specialità dei crediti tributari a fronte dei quali l’Erario è storicamente collocato in una posizione di privilegio (rispetto alla platea degli altri creditori); e ciò non solo in ragione della peculiare natura delle specifiche situazioni soggettive (vale a dire dei crediti tributari) ma anche per bilanciare in termini sistematici il deficit cognitivo in cui l’Amministrazione Finanziaria si trova strutturalmente nella propria qualità di creditore involontario del soggetto passivo dell’obbligazione tributaria [14]. Proprio sull’affermata specialità dei crediti tributari, tuttavia, s’impone qualche considerazione. Non è fuori luogo infatti rilevare come nell’ordinamento siano ravvisabili crediti che, tanto in termini strettamente giuridici quanto in un’ottica assiologica, non sono necessariamente di rango inferiore e, tuttavia, ai fini della [continua ..]
La sentenza commentata si dimostra puntuale nel suo sviluppo ancorché, forse, sia eccessivamente ispirata ad un moto di conservazione dello status quo e le considerazioni di cui al presente elaborato mirano a suscitare qualche supplemento di riflessione (se non qualche dubbio) proprio a tale riguardo. I motivi di censura elaborati dal giudice remittente non erano forse tali da giustificare una pronunzia di illegittimità ma certo è che il regime della responsabilità disciplinato dall’art. 173, comma 13, TUIR (nella sua portata derogatoria rispetto al diritto comune) appare ormai troppo estremo nell’attribuire al creditore Fisco una posizione di indubbio vantaggio rispetto agli altri creditori (quand’anche involontari come l’Amministrazione Finanziaria). In tale prospettiva la sentenza in commento deve fungere da monito per una riflessione più ampia di ordine normativo con il fine di limitare alle sole ipotesi in cui sia veramente necessario le ipotesi di deroga al diritto comune. Perché – senza che possa apparire una facile battuta – di eccessiva specialità l’ordinamento tributario rischia anche di morire essendo piuttosto necessaria una nuova era di normalità nelle relazioni fra le due parti del rapporto impositivo.