La Cassazione ritorna sulla questione dell’applicabilità della retribuzione convenzionale prevista dall’art. 4, comma 1, D.L. 31 luglio 1987, n. 317, in tutti i casi di mobilità all’estero del lavoratore. La controversia riguarda un caso di assegnazione temporanea del lavoratore all’estero in un paese membro dell’Unione Europea, la Francia. Così come nei precedenti interventi, la Corte esclude che, in caso di mobilità estera del lavoratore, in materia previdenziale, così come in materia fiscale, al ricorrere dei requisiti attualmente previsti dall’art. 51, comma 8 bis, TUIR, ci si possa riferire ad un unico criterio di determinazione della base imponibile, fondato sulla retribuzione convenzionale e, ciò a prescindere dal paese di destinazione del lavoratore. La decisione perviene alle medesime conclusioni di un precedente del 2016, condividendone, soltanto in parte, le motivazioni. Essa, tuttavia, lascia ancora aperta la questione dell’applicabilità generalizzata della retribuzione convenzionale per la determinazione della base imponibile previdenziale in caso di assegnazione temporanea all’estero del lavoratore.
The Italian Supreme Court returns to the issue of applicability of conventional remuneration provided by art. 4, par. 1, D.Lgs. 31 July 1987, no. 317, in all cases of worker mobility abroad. The dispute concerns a case of temporary assignment of the worker abroad in an EU Member State, France. As in previous cases, the Court excludes that, in the case of foreign mobility of the worker, in social security matters as well as in tax matters, the recurrence of the requirements currently envisaged by art. 51, par. 8 bis, Income Tax Consolidated Act, allows to refer to a single criterion for determining the tax base, based on conventional remuneration and, regardless of the country of destination of the worker. The decision reaches the same conclusions of a precedent of 2016, sharing its arguments only partially. Nevertheless, it still leaves open the issue of general applicability of the conventional salary for determining the social security tax base in case of temporary assignment abroad of the worker.
Keywords: employment income, activity carried out abroad, conventional salary, Income Tax Consolidated Act, exclusive tax relevance
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1. Introduzione - 2. Sulla posizione della prassi - 3. Sulla posizione della giurisprudenza di merito e di legittimità - 4. Le argomentazioni della Corte di Cassazione nella decisione n. 13674/2018 in commento - 5. Le criticità della sent. n. 13674/2018 - 6. Spunti conclusivi - NOTE
L’art. 4, comma 1, D.L. 31 luglio 1987, n. 317 [1], conv. nella L. 3 ottobre 1987, n. 398 [2], emanato in esito alla pronuncia di incostituzionalità del 30 dicembre 1985 [3], n. 369, stabilisce che per i lavoratori distaccati o trasferiti all’estero in paesi con i quali l’Italia non ha stipulato una convenzione internazionale in materia di sicurezza sociale, i contributi dovuti devono essere calcolati non sulla base della retribuzione effettiva ma, bensì, di quella convenzionale. Quest’ultima consiste in una rimunerazione media e omnicomprensiva [4], il cui ammontare è definito annualmente e per singole categorie lavorative da un decreto del Ministro del Lavoro emanato di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze [5], con riferimento e comunque in misura non inferiore a quanto previsto dai contratti collettivi nazionali di categoria raggruppati per settori omogenei [6]. Tale base di computo riguarda non soltanto i lavoratori italiani ma anche i prestatori cittadini di altri Stati membri della Unione Europea [7] nonché extraeuropei ma in possesso di permesso di soggiorno CE per “soggiornanti di lungo periodo” [8], ovvero privi di tale status ma titolari di un regolare permesso di soggiorno e di un contratto di lavoro in Italia, nel caso in cui siano inviati dal proprio datore di lavoro in un Paese extraeuropeo [9]. Le retribuzioni convenzionali trovano inoltre applicazione, in via residuale, anche nei confronti dei lavoratori operanti in paesi “convenzionati”, limitatamente a quelle tipologie di assicurazione non contemplate dagli accordi internazionali di sicurezza sociale [10]. L’introduzione, anche in materia fiscale, ad opera dell’art. 36, L. 21 novembre 2000, n. 342, di un regime di imposizione basato su tale base di computo per i redditi di lavoro dipendente prestato all’estero [11], al ricorrere delle condizioni attualmente espresse dal comma 8 bis dell’art. 51 del TUIR n. 917/1986 [12], ha posto e pone tuttora il problema della applicabilità del criterio previsto dall’art. 4, comma 1, D.L. 31 luglio 1987, n. 317, nei casi in cui i lavoratori siano distaccati o trasferiti all’estero, in paesi cosiddetti “convenzionati”, poiché hanno concluso accordi in materia di [continua ..]
Sulla questione, subito dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina del reddito di lavoro dipendente prestato all’estero, contenuta nell’allora vigente art. 48, comma 8 bis, TUIR, si sono espressi sia l’allora Ministero del Lavoro sia l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale. Tanto l’Ente previdenziale quanto il Ministero hanno ritenuto di escludere dall’applicazione del criterio contenuto nell’art. 4, comma 1, D.L n. 317/1987, i lavoratori dislocati temporaneamente in paesi convenzionati. In particolare il Ministero del Lavoro-Direzione Generale della Previdenza ed Assistenza Sociale, Div. II con nota prot. 19 gennaio 2001, n. 10291/P6Ii158, all’esito di una conferenza di servizi concludeva che le disposizioni contenute nell’«... art. 48, co. 8 bis, del TUIR, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, introdotte dall’art. 36 della L. 21 novembre n. 342 del 2000, vanno interpretate nel senso che le stesse esplicano i loro effetti esclusivamente in campo fiscale». Invero varie sono le motivazioni su cui il Ministero fondava tale opinione e che saranno poi riprese dalla giurisprudenza di legittimità. Esse appaiono poco convincenti anche perché essenzialmente fondate su ragioni di opportunità e di convenienza economica [20]. L’Istituto Nazionale della Previdenza e Sicurezza Sociale, a sua volta, con la Circolare 10 aprile 2001 [21], n. 86, nell’aderire alla tesi ministeriale, ribadiva che le retribuzioni convenzionali dovevano essere prese a riferimento unicamente per il calcolo dei contributi relativi ai lavoratori operanti all’estero in paesi extra UE non legati all’Italia da accordi in materia di sicurezza sociale [22]. Nel corso degli anni successivi, l’Ente previdenziale ha poi confermato tale impostazione all’interno delle circolari esplicative dei decreti di approvazione delle remunerazioni convenzionali [23].
Un differente e contrastante orientamento interpretativo è stato espresso da alcuni giudici di merito i quali fondano, infatti, le loro decisioni sul convincimento che l’art. 51, comma 8 bis, TUIR esplichi i propri effetti sia in materia fiscale che in quella previdenziale. In particolare la Corte d’Appello di Torino [24], in una sentenza del 2010, ha ritenuto applicabile, in virtù dell’avvenuta unificazione, il regime fiscale di determinazione della base imponibile, previsto dall’art. 51, comma 8 bis, TUIR anche per l’individuazione dell’imponibile previdenziale e ciò a prescindere dal paese di destinazione del lavoratore. A giudizio del giudice di merito poiché all’interno dell’«art. 51, comma 8 bis è espressamente statuito in deroga alle disposizioni dei commi da 1 ad 8» è soltanto ad esso «che si dovrà fare riferimento per la determinazione del reddito a fini contributivi nell’ipotesi di lavoratori che si trovino all’estero per un periodo superiore a 183 giorni». Cosicché «non può condividersi l’assunto di parte appellata (INPS) quando osserva che l’introduzione del citato comma 8 bis è avvenuta in un momento successivo all’avvenuta equiparazione delle basi imponibili fiscale e previdenziale e che se il legislatore non avesse voluto applicare il comma 8 bis ai soli fini fiscali, non lo avrebbe inserito nell’art. 51 del TUIR oppure lo avrebbe diversamente o espressamente limitato». Di diverso avviso la Corte di legittimità che, con gli interventi del 2016 e del 2017, è intervenuta sulla questione. Con tali decisioni essa ha sostanzialmente aderito all’orientamento ermeneutico del Ministero del Lavoro e dell’Ente previdenziale senza perciò prospettare nuovi e più convincenti argomenti.
La controversia di cui si occupa la decisione n. 13674/2018, a differenza di quella oggetto della sent. n. 17646/2016, concerne un caso di assegnazione temporanea del lavoratore all’estero in un paese membro dell’Unione Europea, la Francia [25]. Così come nei precedenti interventi la Corte di legittimità esclude che, in caso di mobilità estera del lavoratore, a differenza di quanto previsto in materia fiscale [26], anche in quella previdenziale si possa adottare un unico criterio di determinazione della base imponibile fondato sulla retribuzione convenzionale, prescindendo dunque dal paese di destinazione del lavoratore. Varie sono le motivazioni sulle quali la Corte fonda le proprie conclusioni, tuttavia, rispetto alla decisione del 2016 [27], nessuna di queste appare nuova o sostenuta in maniera più persuasiva: in primis il giudice di legittimità evidenzia che, quanto ai rapporti fra normativa fiscale e previdenziale, la riforma realizzata dal D.Lgs. n. 314/1997 avrebbe introdotto fra le due discipline un rinvio che, seppure recettizio non sarebbe automatico, sicché il recepimento della norma tributaria sarebbe subordinato ad un preventivo accertamento di compatibilità di quest’ultima con i principi e con il sistema previdenziale. Ciò si evince, in particolare, da quella clausola di riserva contenuta all’interno dell’art. 3, comma 19, lett. a), L. n. 662/1996, in virtù della quale il legislatore è delegato a introdurre misure attuative dell’equiparazione fra la base imponibile fiscale e quella previdenziale che potrà però adottare soltanto “ove possibile”. Orbene, proprio in esito a tale verifica, emergerebbero sia l’inopportunità economica sia, ancora, l’incompatibilità con l’attuale sistema di sicurezza sociale della scelta di adottare la retribuzione convenzionale, nel caso di mobilità temporanea del lavoratore all’estero, quale unico criterio cui riferirsi per la determinazione del valore di riferimento per il prelievo previdenziale e, ciò, sotto un duplice profilo. Infatti, tale misura comporterebbe sia un evidente peggioramento della posizione “assicurativa” del lavoratore [28] sia, sotto un altro profilo, un’ingiustificata compressione delle entrate pubbliche in [continua ..]
La sent. n. 13674/2018 sebbene più articolata, perviene alle medesime conclusioni della decisione del 2016, condividendone e, soltanto in parte, approfondendone le motivazioni. Essa, dunque, lascia ancora aperta la questione dell’applicabilità generalizzata della retribuzione convenzionale per la determinazione della base imponibile previdenziale in caso di assegnazione temporanea all’estero del lavoratore, così come in materia fiscale al ricorrere delle condizioni previste dall’art. 51, comma 8 bis, TUIR. Estensione che sembrerebbe, invece, essere naturale conseguenza di quel processo di armonizzazione fra imponibile fiscale e previdenziale intrapreso nel 1997. Le motivazioni della Corte destano non poche perplessità. Esse, infatti, contraddicono quella ratio di semplificazione, motivo dell’unificazine fra base imponibile fiscale e previdenziale attuata, sebbene non integralmente, dal D.Lgs. n. 314/1997, cui, salvo eccezioni specifiche e preventivamente individuate dal legislatore, si può ovviare soltanto a motivo di inderogabili principi di carattere giuridico generale o politico sociale, così come sottolinea all’interno della propria relazione la Commissione Parlamentare Consultiva sulla riforma fiscale [32]. Armonizzazione che è definita all’interno della predetta relazione parlamentare come un “atto dovuto” cosicché, stante la tendenziale obbligatorietà di tale obiettivo, a ridosso della riforma, si sono registrate alcune comunicazioni al Governo [33] e, più di recente anche un tentativo di intervento in materia [34], tutti tesi ad ovviare alla mancata unificazione proprio nel caso del lavoro all’estero [35]. Anche l’ulteriore argomento, peraltro già espresso nella decisione del 2016, che si opporrebbe all’adozione in materia di sicurezza sociale della retribuzione convenzionale tout court in caso di dislocazione estera del lavoratore, basato sulla irrilevanza, a fini previdenziali, della durata della permanenza all’estero del lavoratore, non convince. Tale motivo è infatti riproposto dalla Corte di legittimità in termini assai generici e dunque di difficile condivisione. Che esista un legame fra l’applicazione del regime convenzionale di determinazione del reddito di lavoro dipendente e la [continua ..]
Resta dunque da chiedersi se la salvaguardia della tutela del lavoratore, da un lato [49], e la compressione del gettito “previdenziale” [50], dall’altro, invocati dalla Corte di legittimità a sostegno della propria posizione, siano fra quegli inderogabili principi di carattere giuridico generale o politico sociale che la Commissione Parlamentare richiama e che, nel caso di prestazione svolta temporaneamente all’estero, ostano alla unificazione delle basi imponibili. Ciò perché tanto la L. n. 662/1996 quanto il D.Lgs. n. 314/1997 non recano indicazioni in proposito e, in particolare, poiché la prima fa generico riferimento a non ben definite eccezioni le quali, in aggiunta a quelle invece specificamente indicate dal legislatore, si frapporrebbero ad una piena unificazione [51]. In assenza di puntuali chiarimenti positivi circa i parametri cui riferirsi, se non in generale all’eterogeneità dei fini che caratterizzano il sistema previdenziale rispetto a quello fiscale, dunque in assenza di certezze di carattere operativo, quel preventivo giudizio di compatibilità, cui la Corte condiziona il recepimento della normativa tributaria e che emerge dal tenore letterale della delega, sembrerebbe difficilmente realizzabile, sì da perdere di importanza [52]. Per altri versi, la paventata compromissione delle entrate pubbliche “previdenziali”, per come prospettata dalla Corte, non parrebbe a sua volta frapporsi in senso assoluto all’adozione di un unico criterio di determinazione dell’imponibile previdenziale in caso di lavoro all’estero sia perché circoscritta nella stessa legge di delega della riforma entro precisi limiti temporali [53], sia perché compensata, almeno in parte da una corrispondente riduzione della misura delle prestazioni spettanti ai prestatori [54]. Peraltro sarebbe opportuno verificare se dalla osteggiata estensione del criterio indicato nell’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 317/1987, derivi effettivamente un trattamento di sfavore per il lavoratore e, in caso di risposta affermativa, se tale condizione sia così eccessiva da determinare un intollerabile peggioramento della relativa posizione previdenziale, motivo che la Corte costituzionale spesso adombra come limite ad interventi positivi deteriori in materia pensionistica [55]. In ogni caso, il sacrificio delle [continua ..]