Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
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15/06/2018 - Irap: nella confusione tra “esistenza” e “inerenza” si conferma la derivazione rafforzata

argomento: IRAP e tributi locali - Giurisprudenza

Ai fini della determinazione della base imponibile dell'IRAP, secondo la formulazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5 nel testo modificato dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 5, applicabile ratione temporis alla presente controversia, il principio di derivazione dei costi sostenuti dal conto economico non esclude il controllo sull'inerenza dei costi medesimi, attraverso la correttezza della loro appostazione nel conto economico alla stregua dei principi civilistici e contabili nazionali

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di Giorgi Silvia

  1. L’ ordinanza della Cassazione, sez. VI dell’11 giugno 2018 (ud. 20 febbraio 2018) n. 15115 giunge ad affermare, seppur muovendo da un percorso tortuoso e disarticolato, un principio condivisibile e, tutto sommato, conforme a quanto già affermato da prassi (con qualche contraddizione) e dottrina. Oggetto del giudizio nomofilattico era l’art. 5 del D. Lgs. 446/1997, così come modificato dalla L. n. 244 del 2007 (art. 1, co. 50°, lett. a), con decorrenza dal periodo d’imposta 2008.
  1. È noto che detta norma, al co. 1°, stabilisce che il valore della produzione netta è determinato dalla differenza tra il “valore della produzione” ed i “costi della produzione” del conto economico, riprendendo, poi, in aumento le voci di bilancio che individuano costi espressamente indeducibili ai fini Irap. Tuttavia, l’imputazione a conto economico, secondo i corretti principi contabili, di componenti classificabili nelle voci di bilancio previste dall’art. 5 del d.lgs. 446/1997 è condizione necessaria ma non sufficiente per la rilevanza ai fini Irap, giacché la parabola di emancipazione Irap dalle regole del t.u.i.r. si conclude nel co. 5° del citato art. 5, secondo cui “indipendentemente dalla effettiva collocazione nel conto economico, i componenti positivi e negativi del valore della produzione sono accertati secondo i criteri di corretta qualificazione, imputazione temporale e classificazione previsti dai princìpi contabili adottati dall’impresa”. Per cui, la collocazione nel conto economico è, a sua volta, sindacabile alla stregua dei principi contabili adottati dall’impresa, secondo le regole della derivazione “rafforzata” divenute, ormai, regime ordinario per tutti i soggetti che non siano micro-imprese.
  2. La Cassazione, dunque, nella sentenza in commento, ha precisato che il principio di inerenza ai fini Irap deve essere inteso “con riferimento alla sua connotazione civilistica” in continuità con i precedenti della stessa Corte di legittimità che hanno privilegiato “un’interpretazione sostanzialistica delle disposizioni in oggetto quanto al sindacato sulla correttezza, sul piano civilistico ed alla stregua dei principi contabili, dell’appostazione nel conto economico di voci non ritenute ad essi conformi”. Viene scolpita, a tutto tondo, la derivazione rafforzata in ambito Irap, ormai principio generale dell’intero sistema dell’imposizione diretta che guarda al dato civilistico – contabile rinnegando il t.u.i.r. (ai fini della determinazione Irap) o marginalizzandolo (ai fini reddituali).
  3. La conclusione è, come premesso, in linea con quanto confermato da Assonime (circolare Assonime 31/7/2009 n. 34), nonché, pur con ripensamenti e contraddizioni, dalla stessa amministrazione finanziaria, secondo cui “in linea generale la rilevanza IRAP dei componenti positivi e negativi segue il principio di derivazione dalle voci rilevanti del conto economico, così che la ricorrenza del requisito di inerenza rileva - già ai fini civilistici - come condizione per imputare a conto economico un determinato componente negativo di reddito… (omissis) … Da queste affermazioni si ricava agevolmente che il principio di inerenza che deve essere seguito ai fini della applicazione dell'IRAP è quello civilistico, desumibile dalla corretta applicazione dei principi contabili” (Circolare, n. 39 E del 22 luglio 2009).
  4. Ciò che, dunque, stride, nella sentenza, non è tanto il principio di diritto, che, invero, pare rispettoso del tenore letterale della disposizione e del marcato percorso di autonomia della determinazione Irap rispetto a quella reddituale intrapreso dal Legislatore della finanziaria 2008, nonché con la scelta sistematica di “rafforzare” la derivazione dal dato civilistico – contabile, ma la pertinenza rispetto al thema decidendum che coinvolgeva il disconoscimento di costi in quanto “non documentati” e non in quanto “non inerenti”. Non a caso l’Amministrazione ricorrente, per immettere nel giudizio di legittimità un profilo chiaramente “di fatto”, e, dunque, precluso, (tanto che in modo altrettanto “non casuale”, la proposta del relatore sosteneva la declaratoria d’inammissibilità del ricorso) aveva scomodato il principio di veridicità di cui all’art. 2423 c.c. E proprio su questo spunto la Cassazione innesta l’iter argomentativo dell’inerenza – da intendersi in senso “civilistico” – e della sua applicazione in conformità ai corretti principi contabili (nella specie il principio OIC n. 12) e, dunque, al principio di veridicità nella redazione del bilancio, convertendo la proposta di inammissibilità in quella di manifesta fondatezza del ricorso.
  5. Le ricadute applicative del principio di diritto potrebbero – e dovrebbero coerentemente – essere significative (dall’impossibilità di applicare in via automatica le forfettizzazioni previste dal t.u.i.r. per i costi promiscui o i limiti di deducibilità di cui all’art. 36, co. 7° e 7-bis del d.l. 223/2006 per la quota capitale del canone di leasing riferibile al terreno). Peccato solo, nel caso in commento, con ogni probabilità, non vi fosse alcuna questione di inerenza, ma, se mai, di esistenza e che, come spesso accade, l’affermazione di un principio corretto funge da epilogo di un percorso deviato al solo scopo di avallare un dispositivo perorante la “ragion fiscale”.