Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
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Ai fini dell'imposta di registro, la regola dell'imposizione della disposizione più onerosa vale anche per la clausola penale (di Cesare Borgia, Dottore di ricerca in Diritto tributario, Università di Roma “La Sapienza”)


Questa prima decisione di legittimità sulla ricorrente questione del trattamento fiscale da riservare alla clausola penale inserita in un contratto di locazione – anche per la ricostruzione proposta dalla Corte di Cassazione sul concetto di “disposizione”, attorno al quale è costruita la norma di cui all’art. 21 del TUR – offre la preziosa occasione di fare il punto sull’attuale portata della norma, oltre che di meditare qualche considerazione circa la conformità della soluzione del caso concreto al dettato costituzionale dell’art. 53.

For registration tax purposes, the rule of imposing the more onerous provision also applies to the penalty clause

This first judgement on the recurring question of the tax treatment to be reserved for the penalty clause inserted in a lease agreement – also in the light of the reconstruction proposed by the Italian Supreme Court on the concept of “provision”, around which the rule set forth in Art. 21 of the Registration Tax Consolidated Act is built – offers a valuable opportunity to evaluate the current scope of the rule, as well as to make several remarks on the conformity of the solution in the concrete case with the constitutional provision of Art. 53.

Imposta di registro – Clausola penale – Tassazione contratto. MASSIMA: La clausola penale non è soggetta ad autonoma tassazione con l’imposta di registro, in ragione della sua accessorietà rispetto al contratto nella quale è inserita: la tassazione del contratto in cui è presente la penale assorbe pertanto la rilevanza tributaria della clausola penale. Infatti, la clausola penale si sottrae all’applicazione della norma di cui al comma 1 dell’art. 21 del DPR 131/1986, in base al quale tutte le disposizioni contenute in un contratto sono suscettibili di autonoma tassazione e si presta a essere osservata ai sensi del successivo comma 2, secondo il quale la pluralità delle disposizioni contenute in un atto genera una sola tassazione (che è quella afferente alla disposizione dalla quale deriva l’imposta più elevata) quando dette disposizioni derivano necessariamente, per loro intrinseca natura, le une dalle altre. PROVVEDIMENTO: (Omissis). FATTI DI CAUSA 1. In relazione alla clausola penale contenuta in un contratto di locazione concluso dalla società (Omissis) – odierna controricorrente, locatrice – con la (Omissis), per il caso di ritardo nella restituzione del bene locato, l’Agenzia delle Entrate, ritenendo applicabile del d.P.R. n. 131 del 1986, art. 21, comma 1, ha provveduto al recupero dell’imposta di registro della misura fissa ai sensi dell’art. 27 TUIR e art. 11 tariffa prima parte, oltre sanzioni. La CTR della Lombardia ha annullato l’avviso ritenendo che alla clausola penale non fosse applicabile del d.P.R. n. 131 del 1986, art. 21, comma 1, essendo detta clausola, per la sua intrinseca natura, correlata al contenuto essenziale del contratto di locazione e pertanto non autonomamente tassabile. L’agenzia delle Entrate ricorre, sulla base di un unico motivo, avverso la sentenza indicata in epigrafe. La contribuente replica con controricorso. Il P.G. ha concluso nel senso dell’accoglimento del ricorso. RAGIONI DI DIRITTO 1. Con una unica censura, l’amministrazione finanziaria deduce la violazione del d.P.R. n. 131 del 1986, artt. 21 e 27, nonché degli artt. 1382 e 1591 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3); per avere la Regionale sostenuto l’assenza diverse cause negoziali afferenti a negozi collegati, ciascuno idoneo a rispondere ad autonome esigenze economiche. Si assume invece la natura autonoma della clausola penale tenuto conto dell’autonomia strutturale e funzionale della stessa correlata al verificarsi di un evento futuro ed esterno al contratto: l’inadempimento o inesatto adempimento contrattuale. A tal fine, l’ente finanziario cita le pronunce della Corte n. 203671960 e n. 10046/2018 secondo le quali, la clausola di cui all’art. 1382 c.c., avrebbe una causa distinta da quella del contratto cui afferisce. Aggiunge [continua..]

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SOMMARIO:

1. Premessa - 2. L’interpretazione del concetto di “disposizione” di cui all’art. 21 TUR - 3. La connessione tra le disposizioni alla base della tassazione unitaria - 4. La clausola penale: particolarità e trattamento fiscale - 5. Riflessioni conclusive - NOTE


1. Premessa

La sentenza della Cassazione n. 30983 del 7 novembre 2023 [1] è de facto la prima pronuncia di legittimità su un caso, invero assai ricorrente, vertente sulla questione della imponibilità autonoma della clausola inserita nel contratto di locazione con la quale le parti stabiliscono che, in caso di ritardata restituzione del bene locato, il conduttore sia tenuto a corrispondere una determinata somma a titolo di penale. Secondo la prospettazione del contribuente la clausola penale è pattuizione funzionalmente collegata all’accordo principale e pertanto non soggetta ad autonoma tassazione, secondo quanto disposto dall’art. 21, comma 2, d.P.R. n. 131/1986 (Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, d’ora in poi TUR). Invece, per l’Ufficio ciò non esclude la natura di negozio con causa autonoma, seppur legato al contratto base, con la conseguente applicazione di quanto disposto al comma 1 dell’art. 21 del TUR. L’Agenzia delle Entrate ha, infatti, più volte ribadito che la clausola penale ha una propria individualità e, come tale, deve essere tassata in quanto disposizione “avente contenuto patrimoniale” [2]. Venendo al formante giurisprudenziale, le Corti tributarie di merito, pur in assenza finora di un “precedente” di legittimità, si sono in prevalenza allineate al filone dottrinale che ha posto l’accento sull’accessorietà della clausola penale, quindi negandone l’idoneità ad esprimere una capacità contributiva tassabile ai fini dell’im­posta di registro [3]. Nella decisione in commento, la stessa Suprema Corte di Cassazione giunge ad affermare che la clausola penale, in ragione della sua accessorietà rispetto al contratto nella quale è inserita, non è soggetta ad autonoma tassazione con l’imposta di registro. Come è stato efficacemente constatato, la tassazione del contratto in cui è presente la penale “assorbe” dunque la rilevanza tributaria della clausola penale [4]. Questa prima pronuncia di legittimità sulla questione, anche per la ricostruzione proposta sul concetto di “disposizione”, attorno al quale è costruita la norma di cui all’art. 21 del TUR, offre la preziosa occasione di fare il punto sulla attuale portata della predetta norma, oltre che di [continua ..]


2. L’interpretazione del concetto di “disposizione” di cui all’art. 21 TUR

L’interrogativo al quale devono rispondere i giudici di legittimità è se la clausola penale è soggetta a tassazione autonoma ai sensi del comma 1 dell’art. 21 del TUR, il quale prevede che “se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto” oppure se, trattandosi di una pattuizione di natura “accessoria” rispetto al contratto, questa va piuttosto ricondotta alla norma di cui al comma 2 del medesimo art., il quale prevede che “se le disposizioni contenute nell’atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa”, con la conseguente esclusione dell’autonoma imponibilità. Sia il primo che il comma 2 dell’art. 21 utilizzano la nozione di “disposizione” talché il ragionamento della Cassazione prende le mosse da questo concetto [8]. Attraverso una ricostruzione che muove dalla previgente normativa in materia di imposta di registro [9], la Suprema Corte si focalizza sull’interpretazione della nozione di “disposizione” dapprima dal punto di vista civilistico, per poi vagliarne gli effetti sul versante impositivo. Come ripercorrono i giudici, inizialmente il concetto di disposizione è stato interpretato in seno alla giurisprudenza come riferito alle singole clausole di una convenzione o anche ad uno degli elementi di cui si compone l’atto. Come è stato ricordato in dottrina, questa lettura atomistica traeva origine dal periodo storico in cui non era stato ancora valorizzato il ruolo unificante dell’istituto del negozio giuridico e, per questo, si era soliti propendere per una valutazione delle singole clausole [10]. A partire dagli anni ’50 il concetto di “disposizione” assume per lo stesso formante giurisprudenziale, che si allinea agli sforzi ricostruttivi compiuti da autorevole dottrina [11], un diverso significato, ritenendosi che esso non possa riferirsi ad uno degli elementi del contratto. La nozione viene così ricondotta all’idea di negozio giuridico e non più alle singole clausole di cui il contratto si [continua ..]


3. La connessione tra le disposizioni alla base della tassazione unitaria

Nella sentenza in commento, la stessa Suprema Corte arriva a ritenere che le singole disposizioni devono essere considerate complessivamente in presenza di una causa [14] unica che fa da elemento unificante del regolamento contrattuale; se, invece, le cause giuridiche caratterizzanti le singole clausole o disposizioni restano distinte, le stesse devono essere valutate autonomamente. E tanto rileverebbe anche ai fini dell’ambito di applicazione dell’art. 21 del TUR. Dunque, dato per assodato che ha senso scomporre il contratto in singole determinazioni purché di natura negoziale, e premesso che tutte le disposizioni contenute nel contratto in quanto negozi hanno una loro propria causa, per comprendere se le stesse si fondano nell’unica funzione economico-individuale del contratto, ovvero se siano suscettibili di essere considerate autonome, i supremi giudici si focalizzano sulla distinzione tra negozio complesso e collegamento negoziale. In estrema sintesi [15], il negozio complesso è in genere definito come una figura unitaria, caratterizzata da una causa unica dalla spiccata funzione economico-individuale, con un contenuto certamente scomponibile in molteplici determinazioni negoziali le quali, però, sono suscettibili di ricomporsi per la realizzazione di un programma regolamentare unico. Si parla, invece, di collegamento negoziale quando si è al cospetto di una pluralità di cause e, quindi, l’operazione voluta dalle parti non può prescindere dall’attuazione di un determinato negozio, dal momento che rimanendone inattuato alcuno, viene a cadere anche la funzione degli altri. Ebbene, già applicando queste nozioni, a detta della Cassazione la clausola penale non sembrerebbe suscettibile di essere assoggettata a tassazione autonoma, in quanto elemento che concorre a formare un unico negozio complesso e non negozio autonomo suscettibile di considerazione separata. Tuttavia, come pure si riconosce nella sentenza, il problema circa la natura e imponibilità autonoma della clausola penale rispetto al contratto nel quale è inserita non si risolve con la nozione di negozio complesso, distinto dal collegamento negoziale. Questo perché, come è stato osservato, il primo termine di quella distinzione vale per negozi che, pur potendo reggersi in via autonoma, sono unificati dalla volontà delle parti diretta a un unico regolamento [continua ..]


4. La clausola penale: particolarità e trattamento fiscale

Per comprendere quale trattamento fiscale è opportuno riservare alla clausola penale inserita in un contratto di locazione, appare chiaro agli stessi supremi giudici che occorre preliminarmente coglierne le particolarità sul piano civilistico [18]. Ebbene, ai sensi dell’art. 1382 c.c. la clausola penale è una pattuizione per mezzo della quale le parti stabiliscono in via preventiva e forfetaria quanto il debitore dovrà corrispondere al creditore in caso di inadempienza, con il duplice effetto – da un lato – di esonerare il creditore dall’onere di provare di aver subito un danno effettivo e corrispondente ad uno specifico ammontare e – dall’altro lato – di predeterminare la misura della prestazione che il debitore è tenuto a rendere a titolo di risarcimento del danno. Quindi, si comprendono le due funzioni che la clausola penale è chiamata ad assolvere nell’ambito di un contratto: garantire il creditore in caso di inadempimento della controparte e, al tempo stesso, tutelare il debitore da un eventuale azione del creditore, dal momento che predetermina quanto dovuto. Tuttavia, se la clausola penale ha una sua propria causa risarcitoria di liquidazione preventiva e forfetaria del danno e persegue lo scopo di sostenere l’esatto, reciproco, tempestivo adempimento delle obbligazioni “principali”, tali devono intendersi quelle assunte con il contratto cui accede. Ragion per la quale, come evidenziato anche nella sentenza, detta clausola deve considerarsi esclusivamente “accessoria” al contratto principale: è una delle determinazioni variamente intese ad adattare il regolamento contrattuale all’operazione economica di volta in volta divisata dalle parti. In poche ma efficaci parole, il contratto può esistere senza la clausola penale, mentre non è possibile il contrario. Peraltro, la penale disciplina le conseguenze dell’inadempimento, quindi di un fatto che attiene al funzionamento stesso del contratto, ma tale eventualità contrattuale troverebbe comunque tutela sul medesimo piano risarcitorio per mezzo della disposizione generale di cui all’art. 1218 c.c., anche in mancanza della clausola. Trattasi di una pattuizione volta ad ottenere una più sicura garanzia di soddisfazione degli interessi interni al contratto. Quindi di un elemento accessorio che, insieme ad altri, contribuisce [continua ..]


5. Riflessioni conclusive

La prima pronuncia di legittimità sul trattamento fiscale da riservare alle clausole penali inserite in contratti ha il pregio di mettere dei punti fermi. I supremi giudici riconoscono che dette clausole non possono sopravvivere da sole, essendo strettamente dipendenti dal contratto cui accedono e con il quale condividono la causa. Proprio la comunanza di cause e la stretta interdipendenza che ricorre tra le disposizioni in esame rappresentano lo snodo della questione. D’altronde, l’obbligo di risarcire il danno in cui si estrinseca la clausola penale si pone in una relazione di “alternatività” rispetto alle obbligazioni del contratto e, quindi, ha ragione di esistere fintanto che esiste l’obbligazione principale originaria. La soluzione al caso di specie esaminato dalla Corte passa inevitabilmente dalla comprensione della particolare funzione “ancillare” che caratterizza la clausola penale. Ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, la clausola penale, proprio in ragione della sua accessorietà rispetto al contratto di locazione che la prevede, non è soggetta a distinta ed autonoma tassazione, in quanto è sottoposta alla regola dell’imposizione della disposizione più onerosa scolpita dall’art. 21, comma 2, del TUR Difatti, tale norma trova applicazione soltanto quando è la volontà della legge o l’intrinseca natura delle diverse disposizioni a determinare tra esse un rapporto di connessione oggettiva, necessaria e inscindibile. Per quanto riguarda, poi, la conformità della soluzione del caso di specie al dettato costituzionale di cui all’art. 53, la scelta di non attribuire autonoma rilevanza alla clausola penale ai fini fiscali è diretta conseguenza della totale assenza di una seppur minima forma di capacità contributiva derivante da clausole funzionali soltanto a rafforzare un vincolo contrattuale già definito. In conclusione, la meritoria ricostruzione, anche in chiave storica, offerta dalla Cassazione può ben rappresentare una “guida” anche per l’analisi di fattispecie che presentano tratti in comune con la clausola penale. A detta della stessa Corte, la soluzione resa nel caso in esame ben potrebbe essere riproposta anche in caso di clausole che, a titolo di ritardo, prevedono la corresponsione di interessi moratori eccedenti il tasso legale. Come [continua ..]


NOTE