Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
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Il silenzio dell'Amministrazione finanziaria negli atti di accoglimento parziale dell'istanza di rimborso (di Roberta Corriere, Assegnista di ricerca in Diritto tributario, Sapienza Università di Roma)


In materia di accoglimento parziale dell’istanza di rimborso, la figura dell’atto di diniego implicito, elaborata dalla giurisprudenza, vacilla non solo sul piano logico e semantico, ma anche (aspetto ancor più rilevante) su quello giuridico, poiché, sovvertendo le regole che pacificamente governano l’agire amministrativo, genera confusione nei rapporti tra Fisco e contribuente, impedendo la piena realizzazione dei principi della buona amministrazione e del diritto di difesa.

The silence of tax authorities in the acts of partial acceptance of tax refund applications

In the matter of partial acceptance of tax refund applications, the figure of the implicit act of refusal, developed by case law, falters not only on a logical and semantic level, but also (even more importantly) on a legal level, since, by subverting the rules that pacifically govern the administrative action, it generates confusion in the relations between tax authorities and taxpayer, preventing the full enforcement of the principles of good administration and the right of defense.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il silenzio dell’Amministrazione finanziaria in materia di rimborso. L’ondivago orientamento della giurisprudenza di legittimità sull’accoglimento parziale dell’istanza - 3. Motivazione degli atti e provvedimenti amministrativi impliciti - 4. Osservazioni critiche alla luce del principio di leale collaborazione e del principio di effettività - 5. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Premessa

In tema di rimborso, vi è la tendenza da parte della giurisprudenza a qualificare il provvedimento di accoglimento parziale come diniego implicito (e non come diniego tacito) per la parte del credito non riconosciuta. La questione non è di poco conto dal momento che, a seconda delle modalità con cui si manifesta il rifiuto da parte dell’Amministrazione finanziaria di procedere alla restituzione delle somme richieste dal contribuente, sono previsti differenti termini processuali per poter adire al giudice tributario. Mentre in ipotesi di rifiuto espresso (sussistendo un atto portato alla conoscenza del contribuente) trova applicazione il termine ordinario di sessanta giorni previsto per l’impugnazione degli atti dinanzi alle Corti di giustizia tributaria, il ricorso avverso il rifiuto tacito può essere, al contrario, proposto dopo il novantesimo giorno da quello in cui la domanda è stata presentata [1]. In quest’ultimo caso, il silenzio rifiuto, non costituendo un atto impugnabile, viene tradizionalmente qualificato come mera condizione di procedibilità [2] per ricorrere dinanzi al giudice tributario. Laddove, pertanto, siano decorsi inutilmente novanta giorni dall’istanza di rimborso, il ricorso può essere proposto a partire dal novantunesimo giorno dalla presentazione della richiesta e fino a quando il diritto alla restituzione non sia prescritto, ossia dieci anni. Sulla base di queste premesse, in spregio ai principi fondanti l’agire amministrativo, si è assistito negli anni all’affermarsi di un orientamento giurisprudenziale che tende a qualificare l’atto di accoglimento parziale come provvedimento amministrativo (implicito) per la parte del credito non riconosciuta. Il rifiuto risulterebbe implicitamente contenuto all’interno dell’atto di rimborso parziale, il quale ultimo – una volta portato a conoscenza del contribuente – sarebbe idoneo ad esteriorizzare anche quanto in esso sottointeso; «e tanto bast[erebbe] per differenziare l’atto implicito rispetto alle ipotesi in cui si ha una manifestazione tacita di volontà (silenzio)» [3]. Stando a quest’ordine di idee, per effetto dell’equiparazione del diniego implicito al diniego espresso, il destinatario dell’atto sarebbe in ogni caso costretto a presentare ricorso entro il (più breve) termine di sessanta giorni [continua ..]


2. Il silenzio dell’Amministrazione finanziaria in materia di rimborso. L’ondivago orientamento della giurisprudenza di legittimità sull’accoglimento parziale dell’istanza

Non è insolito assistere ad una prassi operativa poco trasparente nei confronti dei contribuenti, in cui l’Amministrazione finanziaria a fronte di una istanza di rimborso provveda a liquidare solo una parte di quanto richiesto, emettendo un atto privo di motivazione o di qualsivoglia riferimento in merito al mancato integrale accoglimento dell’istanza. Come accennato in premessa, al ricorrere di tale circostanza, secondo l’orien­tamento maggioritario [4], il silenzio relativo alla parte non rimborsata configurerebbe un provvedimento di diniego implicito, come tale impugnabile entro sessanta giorni. Sebbene non specificamente manifestato, il rifiuto parziale emergerebbe comunque da un atto portato a conoscenza del contribuente ed in esso implicitamente contenuto; di talché sembrerebbe corretto qualificare il provvedimento notificato al contribuente come un atto in parte di rigetto della richiesta originariamente presentata. Ciò sarebbe sufficiente per considerare l’accoglimento parziale come una fattispecie non assimilabile a quella in cui il silenzio dell’Amministrazione, non essendo interrotto da alcuna esternazione nei confronti dell’istante, rappresenti una condizione processuale per ricorrere dinanzi al giudice tributario decorsi novanta giorni dalla presentazione della richiesta e fino al termine di prescrizione del credito. L’orientamento della Cassazione risulta costante in tal senso, ritenendo che «qua­lora, a fronte di una istanza di rimborso d’imposta, l’Amministrazione finanziaria si limiti, puramente e semplicemente, ad emettere un provvedimento di rimborso parziale, senza evidenziare alcuna riserva o indicazione nel senso di una sua eventuale natura interlocutoria, il provvedimento medesimo si configura, per la parte relativa all’importo non rimborsato, come atto di rigetto – sia pure implicito – della richiesta di rimborso. [Ne consegue] che detto provvedimento costituisce atto impugnabile quale rifiuto espresso, nel termine di sessanta giorni dalla notificazione» [5]. Tale ordine di idee trae probabilmente ispirazione dalla circostanza per cui in tema di rifiuto espresso non esiste alcun vincolo imposto dal legislatore in merito al fatto che l’atto di rifiuto, portato alla conoscenza dell’istante, debba rivestire particolari forme [6]. Diversamente, altra parte della giurisprudenza – ad oggi [continua ..]


3. Motivazione degli atti e provvedimenti amministrativi impliciti

Secondo parte della dottrina la possibilità che un atto di accoglimento parziale manifesti implicitamente la volontà di negare il riconoscimento del credito (per la restante parte) investirebbe non tanto la natura del silenzio nel rimborso, quanto piuttosto il profilo della motivazione degli atti e quindi la possibilità che nel nostro ordinamento siano ammessi provvedimenti amministrativi impliciti [12]. Seppur persuasiva come osservazione, sembrerebbe in verità più corretto inquadrare la questione da un’altra prospettiva, avendo cura di tenere distinti il profilo della motivazione dell’atto da quello dell’ammissibilità di atti impliciti. In considerazione del ribaltamento delle posizioni che tradizionalmente sono rivestite dal contribuente e dall’Amministrazione finanziaria, la materia del rimborso mostra, invero, caratteri peculiari, che privano la motivazione, posta a corredo di un atto emanato dalla pubblica autorità, di quel carattere di essenzialità usualmente riconosciutole. Ammettendo l’eventualità che il rifiuto possa configurarsi anche tacitamente, ossia in presenza di un comportamento che, per definizione, non richiede la presenza di un atto motivato, sarebbe lo stesso legislatore a riconoscere l’irrilevanza di tale vizio in quest’ambito particolare del diritto tributario. Sulla base di queste premesse l’orientamento maggioritario nega che, in materia di rimborso, laddove il disconoscimento del credito trovi espressione all’interno di un atto, possa farsi valere un eventuale difetto di motivazione dell’atto medesimo. Le considerazioni dalle quali partire sono molteplici e collegate tra loro. La motivazione viene usualmente considerata come elemento essenziale di un provvedimento amministrativo in quanto strumentale sia alla conoscibilità dell’a­zione amministrativa (dunque alla trasparenza nei rapporti tra Fisco e contribuente) [13], sia a garantire l’effettiva realizzazione del diritto di difesa [14]. Individuando le ragioni di fatto e di diritto che hanno determinato il convincimento dell’ufficio, il destinatario del provvedimento viene messo nella condizione di comprenderne i motivi e, se del caso, decidere di ricorrere al giudice prospettando le proprie argomentazioni difensive. Emerge, a questo punto, un aspetto non marginale ai fini di questo studio. Uno degli [continua ..]


4. Osservazioni critiche alla luce del principio di leale collaborazione e del principio di effettività

L’equiparazione del diniego implicito ad un diniego espresso palesa, come sarà dimostrato, un’inaccettabile violazione dei principi di buona amministrazione, nonché un evidente errore semantico. Ciò che è implicito è, invero, per definizione, non formalmente ed espressamente enunciato. Per cui, declinando questa regola, di elementare comprensione, alla materia tributaria, il mancato rimborso, anche se parziale, in assenza di un atto che dia espressa comunicazione del rifiuto, deve qualificarsi come diniego tacito (per la parte non accolta), in quanto tale condizione processuale per ricorrere dinanzi alla Corte di giustizia tributaria decorsi novanta giorni dall’istanza. Ed invero, in assenza di una disposizione di legge che univocamente attribuisca efficacia di rigetto all’atto di accoglimento parziale dell’istanza, nulla vieta di considerare ancora aperto il procedimento di rimborso, riservandosi l’ufficio (come nella pratica può accadere) il compimento di ulteriori accertamenti in merito alla parte del credito in alcun modo menzionata nell’atto notificato al contribuente [32]. Il diniego, in conclusione, o è esplicito – dovendo in tal caso essere contenuto all’interno di un atto chiaro e non rimesso all’interpretazione del destinatario – o è tacito. Tertium non datur. E se così non fosse, se questo non fosse il modo corretto di ragionare, sarebbe più opportuno parlare di «contribuente Nostradamus» [33], piuttosto che di leale collaborazione tra Fisco e soggetti chiamati al pagamento dei tributi. Si tratta dunque di un’inaccettabile forzatura, contraria a quanto sancito dall’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente in forza del quale i rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede [34]. Tali principi, a ragione, non sembra possano considerarsi rispettati laddove il contribuente sia messo nell’impossibilità di comprendere quali possano essere gli strumenti cui fare eventualmente ricorso (e le modalità per utilizzarli) al fine di far valere un suo diritto, in considerazione del fatto che, in materia di rimborso, il legislatore prevede termini diversi per poter adire al giudice tributario: entro sessanta giorni in ipotesi di diniego espresso, mediante l’impugnazione [continua ..]


5. Considerazioni conclusive

Per lungo tempo l’atto di rimborso parziale è stato considerato idoneo a determinare, per via implicita, effetti sul riconoscimento integrale del credito. In spregio alle più elementari regole che dovrebbero animare il quadro assiologico di riferimento dell’agire amministrativo, si è fatta strada la tendenza, da parte di alcuni giudici, a considerare il rimborso parziale (per la parte non rimborsata) alla stregua di un diniego espresso, data l’attitudine dell’atto a far emergere in modo sottinteso la volontà dell’ufficio. È stata così (verrebbe da dire, arbitrariamente) creata la figura del cd. atto implicito, con le conseguenze che ne derivano sui termini processuali per ricorrere dinanzi alle Corti di giustizia tributaria. Sebbene in tempi più recenti stia iniziando ad emergere la tendenza di segno opposto, non sembra tuttavia che ad essa possa riconoscersi efficacia dirimente. Come evidenziato nella prima parte di questo studio, si registra tuttora un orientamento oscillante in materia, in cui parte della giurisprudenza mostra una certa predilezione per tesi interpretative che ammettono che, all’interno del nostro ordinamento, possano prender vita atti amministrativi dal carattere sibillino. La tesi dell’atto amministrativo implicito rischia, evidentemente, di alimentare incertezze in merito alla condotta che sia consigliabile adottare, vacillando non solo sul piano logico e semantico, ma anche su quello giuridico: sovvertendo le regole che pacificamente governano l’agire amministrativo, genera confusione nei rapporti tra Fisco e contribuente ed impedisce la piena realizzazione dei principi della buona amministrazione e del diritto di difesa. La sua idoneità a dar vita a situazioni dai contorni indefiniti, farebbe allora emergere quella «dimensione del rapporto Fisco-contribuente del tutto antitetica a quella prefigurata dall’art. 10, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente, che sancisce i principi di collaborazione e di buona fede» [57]. Ragionevoli regole di prudenza suggeriscono, invece, un approccio basato sull’ef­fet­tività e, prima ancora, sul buon senso, che attribuisca valenza di provvedimento negativo al rimborso parziale (ndr diniego espresso) solo al ricorrere di elementi che in modo oggettivo ed inequivoco facciano emergere l’intenzione maturata [continua ..]


NOTE