Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Prime osservazioni sul nuovo regime fiscale agevolato in caso di trasferimento di attività economiche in Italia (di Roberto Cordeiro Guerra, Professore ordinario di Diritto tributario, Università degli Studi di Firenze)


L’art. 6 del d.lgs. n. 209/2023 (“Attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale”) introduce per la prima volta nel nostro ordinamento una misura volta ad incentivare il c.d. reshoring di attività economiche in Italia, al duplice fine di stimolare la crescita economica e contrastare la delocalizzazione in altri Stati. Spicca, in particolar modo, l’ampiezza dell’ambito applicativo dell’agevolazione, sia nel richiamo alle “attività economiche”, genericamente intese, sia per l’inclu­sione, nel suo perimetro, delle arti o professioni esercitate in forma associata. I presupposti oggettivi e soggettivi dell’agevolazione ed i meccanismi applicativi sollevano plurime questioni, da risolvere anche alla stregua del rispetto dei principi di concorrenza leale e divieto di aiuti di stato, esplicitamente assunti dalla legge delega all’art. 3, comma 1, lett. d) quali criteri cui improntare la disciplina della misura.

Initial remarks on the new preferential tax regime applicable to transfer of economic activities in Italy

Art. 6 of Legislative Decree no. 209/2023 (“Implementation of the tax reform in the field of international taxation”) introduces, for the first time in our legal system, a measure aimed at incentivising the so-called reshoring of economic activities in Italy, with the dual purpose of stimulating economic growth and counteracting the business relocation to other countries. Particularly noteworthy is the breadth of the scope of application of such tax break, both in the reference to “economic activities”, generically understood, and for the inclusion, within its perimeter, of arts or professions exercised in associated form. The objective and subjective requirements of the tax relief and the application mechanisms raise several questions, which must also be resolved in the light of the principles of fair competition and the prohibition of State aid, explicitly identified by Art. 3, para. 1, letter d), of the Delegation Law no. 111/2023, as the criteria to be applied in regulating the measure.

SOMMARIO:

1. Contenuti e ratio della nuova disposizione - 2. La legge delega ed i lavori preparatori - 3. Le attività economiche oggetto di agevolazione - 4. La nozione di redditi derivanti da attività di impresa - 5. Il caso delle società holding - 6. I redditi derivanti da attività professionale esercitata in forma associata - 7. La nozione di trasferimento - 8. L’esclusione delle attività esercitate nei ventiquattro mesi precedenti in Italia e le ipotesi di decadenza dall’agevolazione (c.d. recapture) - 9. La disciplina dei valori in ingresso: l’applicabilità dell’art. 166-bis TUIR - 10. Qualificazione del beneficio in relazione alla global minimum tax - 11. I profili di compatibilità con la normativa in tema di aiuti di stato: i possibili punti di frizione - NOTE


1. Contenuti e ratio della nuova disposizione

Nel contesto della riforma fiscale spicca per l’assoluta novità ed il carattere fortemente agevolativo l’art. 6 del c.d. decreto internazionalizzazione (d.lgs. 27 dicembre 2023, n. 209): in sintesi, il trasferimento in Italia di attività d’impresa o di lavoro autonomo esercitato in forma associata, precedentemente svolte in Paesi non appartenenti all’UE ed al SEE, comporta il dimezzamento del reddito e del valore della produzione netta per l’anno del trasferimento ed per i 5 successivi, salvo recupero dell’imposta ordinaria (senza applicazione di sanzioni) in caso di fuoriuscita dal territorio dopo meno di 5 anni dalla scadenza del periodo agevolato (aumentati a 10 per le grandi imprese) [1]. Per la prima volta viene introdotta una misura, da tempo invocata in dottrina [2], capace di sollecitare l’allocazione in Italia di attività economiche in senso lato, in conformità ad una visione della fiscalità non solo quale strumento di limitazione e redistribuzione della ricchezza generata, ma altresì quale fattore di stimolo alla sua produzione [3]. In passato, forme di incentivo simili erano state riservate esclusivamente alle persone fisiche: basti pensare alle misure atte a favorire il c.d. “rientro dei cervelli”, quale il regime degli impatriati, peraltro ritoccato in senso restrittivo nel­l’odierna riforma. L’allargamento al mondo dell’impresa e delle professioni nasce sul­l’onda dell’idea di stimolare, secondo un trend già diffuso in altri Stati, il c.d. reshoring di attività precedentemente delocalizzate verso paesi connotati da minori costi di manodopera e regimi più attrattivi sotto il profilo contributivo e fiscale [4]. In una prima fase, la delocalizzazione ha consentito di realizzare economie di scala e guadagnare competitività sul mercato: già da diversi anni, tuttavia, si assiste a livello mondiale ad una tendenza inversa, stimolata da una pluralità di fattori. Segnatamente, il differenziale dei costi di manodopera si è ridimensionato, gli oneri di logistica e trasporto hanno subito incrementi cospicui ed il diverso livello qualitativo della produzione è divenuto nel tempo sempre più evidente [5]. Da ultimo, l’avvento della pandemia e lo scoppio del conflitto russo-ucraino hanno mostrato tutta la fragilità delle [continua ..]


2. La legge delega ed i lavori preparatori

La legge delega, all’art. 3, comma 1, lett. d) espressamente prevedeva l’introdu­zione di “misure volte a conformare il sistema di imposizione sul reddito a una maggiore competitività sul piano internazionale, nel rispetto dei criteri previsti dalla normativa dell’Unione Europea e dalle raccomandazioni predisposte dall’OCSE. Nel rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato e dei princìpi sulla concorrenza fiscale non dannosa, tali misure possono comprendere la concessione di incentivi all’investimento o al trasferimento di capitali in Italia per la promozione di attività economiche nel territorio nazionale. In relazione ai suddetti incentivi sono previste misure idonee a prevenire ogni forma di abuso”. Sul piano del riferimento a fonti sovranazionali, mentre tautologico è il rispetto della disciplina in materia di aiuti di Stato, è da sottolineare il duplice riferimento ai principi sulla concorrenza fiscale non dannosa ed alle raccomandazioni predisposte dall’OCSE. Il rispetto di tali principi, in quanto contenuti in disposizioni di soft law, sarebbe stato opportuno ma non indispensabile: è tuttavia proprio la legge delega, imponendone il rispetto, a farli assurgere a criterio vincolante per i decreti delegati, pena la violazione dell’art. 76 Cost. Per l’effetto, le regole in tema di concorrenza fiscale non dannosa, espresse sia in fonti europee non dotate di efficacia vincolante che in raccomandazioni OCSE, sono tramutati dalla legge delega in hard law. Nella relazione al disegno di legge [8], nella parte dedicata all’analisi della compatibilità dell’in­tervento con gli obblighi internazionali si segnala che la disposizione recata dall’art. 6 sarà valutata dal Gruppo Codice di Condotta del Consiglio in materia di concorrenza fiscale dannosa nonché dal Forum sulle pratiche fiscali dell’OCSE. Quanto invece al perimetro dell’agevolazione, il riferimento contenuto nella legge delega alla concessione di incentivi all’investimento o al trasferimento di capitali in Italia per la promozione di attività economiche nel territorio nazionale, ha indotto in sede di lavori preparatori ad una iniziale formulazione che riservava l’agevolazione alle “attività ad alto valore tecnologico”, sia trasferite da Paesi esteri, che direttamente costituite, ex novo, in [continua ..]


3. Le attività economiche oggetto di agevolazione

L’art. 6 stabilisce che “al fine di promuovere lo svolgimento nel territorio Stato di attività economiche, i redditi derivanti da attività di impresa e dall’esercizio di arti e professioni esercitate in forma associata, svolte in un Paese estero non appartenente all’U.E. o allo Spazio economico europeo, trasferite nel territorio dello Stato”, non concorrono a formare il reddito imponibile per il 50% del relativo ammontare. Lo studioso di diritto tributario avverte immediatamente, già ad una prima lettura, che la disposizione utilizza una tecnica ed una terminologia definitoria non ricorrente nella legislazione domestica. In primo luogo si fa riferimento alle attività economiche, espressione infrequente nella disciplina delle imposte sui redditi; in secondo luogo si accomunano sotto tale cappello i redditi d’impresa e quelli di arti e professioni; in terzo luogo si indica non sic e simpliciter la categoria reddituale (reddito d’impresa e di lavoro autonomo) ma i redditi derivanti da attività di impresa e dall’esercizio di arti e professioni in forma associata. Siffatte peculiarità trovano a mio avviso spiegazione assumendo come chiave di lettura della disposizione agevolativa l’esigenza di evitare potenziali contrasti con la normativa europea in tema di aiuti di stato [13]. Conviene, a tal proposito, focalizzarsi sui potenziali punti di attrito tra una norma agevolativa come quella in esame ed il consolidato panorama regolatorio e giurisprudenziale in tema di aiuti di stato [14]. Come è noto, ai fini della configurabilità di un aiuto di stato non è necessario un trasferimento positivo di fondi a favore di un determinato soggetto economico, essendo invece sufficiente anche una mera rinuncia a delle entrate statali [15], come può verificarsi nel caso di riduzioni d’imposta o esenzioni [16]. In astratto, non v’è dubbio che la riduzione dell’imponibile di cui trattasi possa integrare un aiuto di stato incompatibile con il mercato interno alla luce dell’art. 107 TFUE, secondo il quale “salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino [continua ..]


4. La nozione di redditi derivanti da attività di impresa

La legislazione tributaria qualifica talvolta il reddito come d’impresa a prescindere dall’attività effettivamente svolta dal soggetto cui il medesimo è imputato: si pensi, ad esempio, alle c.d. società non operative, il cui reddito è a tutti gli effetti tassato e determinato quale reddito d’impresa anche in situazioni nelle quali l’ordinamento sembra muovere dalla presunzione che esse non svolgano, in tutto od in parte, attività d’impresa. Ebbene se nel tracciare i confini dell’agevolazione si centra il compasso non sulla categoria reddituale ma sullo svolgimento di attività d’impresa, l’opzione sembra volta ad escludere dall’agevolazione quei redditi che, pur in astratto qualificati come d’impresa dal punto di vista tributario, ad esempio in quanto riferibili a società commerciali (presunzione soggettiva), non derivano tuttavia effettivamente dallo svolgimento di attività d’impresa. Siffatta interpretazione apre dunque il tema della spettanza delle agevolazioni rispetto ai c.d. passive income, inclusi quelli prodotti dalle holding di gestione, nella misura in cui possa essere esclusa la loro provenienza dallo svolgimento di attività imprenditoriale. Effettivamente, già su un piano generale la ratio dell’agevolazione sembra risiedere nel promuovere investimenti nel nostro territorio suscettibili di ricadute economiche positive, non solo in chiave fiscale (attrazione di basi imponibili) ma altresì in termini di occupazione ed altri benefici per il tessuto economico: effetto, quest’ultimo, inesistente o poco tangibile rispetto ai redditi derivanti dalla mera titolarità di asset materiali o immateriali. Non solo. La disposizione – secondo quanto espressamente stabilito dalla legge delega – deve rispettare i principi sulla concorrenza fiscale elaborati in ambito comunitario e le raccomandazioni predisposte dall’OCSE. In proposito, un ruolo centrale è assunto dal c.d. Codice di condotta [20] secondo cui debbono essere considerate “potenzialmente dannose” per la concorrenza, ai sensi del par. B.1, “le misure fiscali preferenziali che determinano un livello d’imposizione effettivo nettamente inferiore ai livelli generalmente applicati nello Stato membro interessato”. Ai fini della valutazione del carattere eventualmente pregiudizievole di [continua ..]


5. Il caso delle società holding

Sulla base delle precedenti considerazioni, è possibile affrontare specificamente anche il tema del reshoring di società holding. Più propriamente, ci si è domandati se l’attività di tale società possa essere ricondotta alla nozione di attività economica, il cui esercizio costituisce presupposto di fruibilità dell’agevolazione. La questione della natura dell’attività di gestione di partecipazioni è stata affrontata, proprio ai fini della normativa in tema di aiuti di stato, dalla Corte di Giustizia nella vicenda relativa alle agevolazioni riconosciute dalla normativa italiana alle fondazioni bancarie [29]. In tal contesto, la Corte di Giustizia, pur partendo dalla premessa che nella maggior parte dei casi l’attività economica è svolta direttamente sul mercato, ha osservato che tuttavia non è da escludere che essa attività sia il prodotto di un operatore in contatto diretto con il mercato e, indirettamente, di un altro soggetto controllante tale operatore nell’ambito di un’unità economica che essi formano insieme. A tale proposito – evidenzia la Corte – il semplice possesso di partecipazioni, anche di controllo, non è sufficiente a configurare un’attività economica del soggetto che detiene tali partecipazioni, quando tale possesso dà luogo soltanto all’esercizio dei diritti connessi alla qualità di azionista o socio nonché, eventualmente, alla percezione dei dividendi, semplici frutti della proprietà di un bene. Viceversa, un soggetto che, titolare di partecipazioni di controllo in una società, eserciti effettivamente tale controllo partecipando direttamente o indirettamente alla gestione di essa, deve essere considerato partecipe dell’attività economica svolta dall’impresa controllata [30]. Dunque, anche tale soggetto dev’essere considerato, a tale titolo, un’impresa ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE. Diversamente – infatti, la semplice suddivisione di un’impresa in due enti distinti, uno con il compito di svolgere direttamente l’attività economica precedente e il secondo con quello di controllare il primo, intervenendo nella sua gestione, sarebbe sufficiente a privare della loro efficacia pratica le norme comunitarie sugli aiuti di Stato. Ciò consentirebbe al [continua ..]


6. I redditi derivanti da attività professionale esercitata in forma associata

Il riconoscimento del medesimo trattamento agevolato ai redditi d’impresa ed a quelli derivanti dall’esercizio di arti e professioni svolte in forma associata rappresenta senz’altro una novità per il nostro ordinamento, consequenziale al recepimento del concetto di attività economica affermatosi nella disciplina comunitaria, ed in specie nell’ambito della disciplina degli aiuti di stato. Nel nostro ordinamento, il reddito degli artisti e professionisti che svolgono attività in forma associata è qualificato come reddito di lavoro autonomo se l’esercizio dell’attività avviene in forma di società semplice o associazione professionale e come reddito d’impresa ove essi adottino la veste di società di società di persone commerciale o di società di capitali. Questa diversa qualificazione non sembra tuttavia assumere rilevanza nell’ottica della disposizione in tema di reshoring [32]. Essa ha riguardo infatti al tipo di attività e non al reddito che ne consegue; del resto, diversamente opinando, si finirebbe per configurare l’agevolazione come selettiva, siccome non spettante a fronte di attività – come quella delle associazioni professionali – che in quanto offrono servizi sul mercato configurano pacificamente attività economiche. Va da sé, peraltro, che nell’ipotesi di attività svolta in forma individuale, il professionista estero che si trasferisca in Italia potrà godere del regime impatriati, sempreché ne ricorrano i presupposti. Infine, vale la pena notare che quanto ai redditi di lavoro autonomo non esiste nel nostro ordinamento una disciplina – analoga a quella dell’art. 166-bis TUIR – in punto di valorizzazione dei beni trasferiti nel nostro paese.


7. La nozione di trasferimento

Il fine ultimo della disposizione è quello di attirare in Italia attività economiche in precedenza svolte fuori dei confini nazionali, con ricadute positive sia sul tessuto economico che sul gettito fiscale, tant’è che, in sede di valutazione dell’impatto economico della disposizione si è ritenuto che essa non comporti effetti negativi di gettito in quanto gli effetti positivi relativi alle attività che a legislazione vigente non sarebbero rientrate in Italia compenseranno i trascurabili effetti negativi relativi alle attività che sarebbero state trasferite anche in assenza della misura [33]. Va da sé, così stando le cose, che presupposto fondamentale per l’invocabilità dell’agevolazione è la circostanza che l’attività d’impresa o professionale (in forma associata) sia stata in precedenza esercitata all’estero: la norma prende infatti in considerazione le attività “svolte in un Paese estero non appartenente all’Unione Europea o allo Spazio economico europeo, trasferite nel territorio dello Stato”. Sono perciò tagliate fuori dal perimetro applicativo le attività che, ancorché intraprese nel nostro paese da un soggetto estero, si risolvono nell’inizio ex novo nel nostro territorio di una attività non previamente svolta all’estero: in relazione ad essa, infatti non è ovviamente possibile parlare di “trasferimento”, come richiesto dalla disposizione. Ovviamente, il trasferimento potrà riguardare anche segmenti di attività svolte all’estero nell’ambito di un gruppo e trasferite in Italia, anche all’esito di operazioni straordinarie quali ad esempio conferimenti, fusioni o scissioni transnazionali: ciò che rileva è infatti unicamente la provenienza dell’attività trasferita da paesi extra UE o SEE [34]. Messa a fuoco la centralità del requisito del trasferimento, si capisce che in sede applicativa potrebbe insorgere più di un problema. Una prima questione potrebbe riguardare il profilo qualitativo, ossia quello del grado di omogeneità di natura che deve caratterizzare l’attività intrapresa in Italia rispetto a quella in precedenza svolta all’estero. Così, se ad esempio nell’ambito della filiera produttiva di un gruppo viene chiuso uno [continua ..]


8. L’esclusione delle attività esercitate nei ventiquattro mesi precedenti in Italia e le ipotesi di decadenza dall’agevolazione (c.d. recapture)

Il comma 2 dell’art. 6 esclude dalle attività agevolabili quelle esercitate nel territorio dello Stato nei ventiquattro mesi antecedenti il loro trasferimento. La ratio, evidente, è quella di evitare temporanei trasferimenti all’estero strumentali al successivo “rimpatrio” agevolato; per contro possono beneficiare dello speciale regime del reshoring sia attività economiche mai esercitate in Italia che quelle già esercitate in Italia in epoca più remota rispetto al periodo di “sorveglianza” dei 24 mesi precedenti. La limitazione, ovviamente, non riguarda qualsiasi attività esercitata in Italia nei ventiquattro mesi precedenti, ma solo il caso in cui successivamente venga trasferita in Italia la medesima attività svolta nell’intervallo rilevante nel nostro territorio Ai sensi del quarto comma dell’art. 6, l’agevolazione viene meno in caso di trasferimento fuori del territorio dello Stato, anche parziale, delle attività oggetto del precedente trasferimento in un periodo minimo fissato dalla legge: 10 periodi d’imposta per le grandi imprese individuate ai sensi della raccomandazione 2003/361/CE e cinque per tutti gli altri soggetti. In sostanza, a fronte dell’intensità del vantaggio concesso nei sei periodi d’im­posta (quello di trasferimento ed i cinque successivi) in cui si applica il dimezzamento dell’imponibile, la legge ne subordina la spettanza alla permanenza per un periodo ulteriore; in difetto l’Amministrazione finanziaria recupera le imposte non pagate, con interessi ma senza sanzioni. La decadenza, infatti, si verifica per una circostanza sopravvenuta e successiva rispetto ai periodi d’imposta nei quali l’agevo­lazione è stata fruita, di talché sarebbe iniquo considerare infedeli le dichiarazioni che ne hanno tenuto conto. Inoltre, l’applicazione di sanzioni in caso di fuoriuscita dal territorio potrebbe essere ritenuta misura eccessiva nell’ottica della libertà di stabilimento. Problematica, sotto un duplice punto di vista, l’opzione di collegare la decadenza anche al trasferimento parziale. Sotto un primo di vista, infatti, appare eccessiva la mancata fissazione di una soglia minima sotto la quale il trasferimento fuori dei confini domestici, ancorché riguardante una parte non significativa dell’attività, dia luogo a [continua ..]


9. La disciplina dei valori in ingresso: l’applicabilità dell’art. 166-bis TUIR

Costituendo il trasferimento di attività economica un presupposto del regime, va da sé che normalmente si porrà anche un problema di determinazione del valore ai fini fiscali delle attività trasferite in Italia, disciplinato in generale dall’art. 166-bis del TUIR. La disposizione, rubricata “Valori fiscali in ingresso”, fissa i criteri di valorizzazione delle attività e delle passività di un soggetto trasferite nel territorio dello Stato con distinto riferimento alle principali modalità con cui può essere effettuato il trasferimento in Italia: soggetti che esercitano impresa commerciale e che spostano la propria residenza in Italia, soggetti fiscalmente residenti all’estero che trasferiscono attivi a una propria stabile organizzazione situata in Italia, soggetti fiscalmente residenti all’estero che trasferiscono un complesso aziendale in Italia, ed altri casi analoghi. In particolare, la norma prevede quale criterio standard per la valorizzazione delle attività e delle passività trasferite quello del valore di mercato, inteso come prezzo che sarebbe stato pattuito tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili. Il criterio è applicabile se il trasferimento in entrata avviene da uno Stato membro dell’UE o da uno Stato che consente un adeguato scambio di informazioni (c.d. Stati white-list). In caso contrario, i valori in entrata potranno essere determinati, in base a quando disposto dal comma 5 dell’art. 166, in sede di accordo preventivo ex art. 31-ter d.P.R. n. 600/1973, oppure basandosi sul minore – per le attività – o sul maggiore – per le passività– tra il costo di acquisto, il valore di bilancio o il valore di mercato. Avuto riguardo a tale disciplina generale, ci si è chiesti se, ricorrendone le condizioni, ad esempio per il caso di provenienza da paese white list, il reddito agevolabile per effetto del reshoring possa essere determinato anche tenendo conto dei valori in ingresso delle attività trasferite assunti ai sensi dell’art. 166-bis, e dunque ed in particolare dei maggiori ammortamenti calcolati sul loro valore di mercato. Ebbene, dal momento che l’art. 6 del d.lgs. 27 dicembre 2023, n. 209 dimezza l’ordinario imponibile tassabile, va da sé che quest’ultimo – in difetto di diversa [continua ..]


10. Qualificazione del beneficio in relazione alla global minimum tax

Il dimezzamento dell’imponibile contemplato dall’art. 6 è senza dubbio suscettibile di assumere rilevanza ai fini della global minimum tax, comportando negli esercizi in cui si applica una diminuzione del tax rate. Come è noto, nell’ambito della disciplina della global minimum tax si distinguono i crediti d’imposta dagli incentivi che operano sulla base imponibile: quest’ultimi incidono andando ad accrescere il numeratore del rapporto di calcolo dell’ETR, e di conseguenza diminuendo il tax rate. Né sembra prospettabile la riconduzione dell’agevolazione in esame all’ambito degli incentivi temporanei, come tali non rilevanti ai fini della global minimum tax. [38]. La qualificazione di temporanei sembra infatti riferita a quei soli incentivi che comportano un effetto di momentanea riduzione della base imponibile, come ad esempio la velocizzazione del periodo di ammortamento cui consegue un differimento dell’imposizione [39]; e non invece a casi come il nostro ove la base imponibile è definitivamente dimezzata per una pluralità di esercizi. Potenzialmente, il dimezzamento dell’imponibile potrebbe dunque a seconda delle situazioni condurre sotto il livello del 15% l’aliquota effettiva dell’IRES e dunque far scattare l’applicazione della Qualified Domestic Minimum Top-Up Tax.


11. I profili di compatibilità con la normativa in tema di aiuti di stato: i possibili punti di frizione

Come stabilito al comma 5, l’efficacia delle disposizioni di cui all’art. 6 è subordinata, ai sensi dell’art. 108, paragrafo 3 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, alla autorizzazione della Commissione europea. In proposito giova ricordare che il Regolamento UE 2015/1589, nel dettare le modalità di attuazione dell’art. 108 TFUE, ha espressamente preso in considerazione l’eventualità che la Commissione non si pronunci nel termine di due mesi a seguito della notifica, da parte di uno Stato membro, di un nuovo aiuto di Stato, prevedendo un meccanismo di silenzio-assenso in base al quale “si ritiene che l’aiuto sia stato autorizzato dalla commissione” [40]. Ciò premesso, la pronuncia della Commissione dovrà incentrarsi sulla soluzione di alcuni punti potenzialmente critici. In generale, è senz’altro significativo il fatto che nel corso del tempo, ed in particolar modo negli ultimi anni, le stesse istituzioni europee si siano più volte espresse favorevolmente nei confronti di misure volte ad attirare sul territorio dell’Unione nuove attività economiche, sottolineando la centrale rilevanza del reshoring delle imprese al fine di accorciare e rafforzare le supply chains, messe criticamente alla prova dalla pandemia Covid-19, individuando proprio negli incentivi i principali strumenti per incentivarlo. È il caso, ad esempio, della Risoluzione del Parlamento europeo del 25 novembre 2020 [41], secondo cui “dovrebbe esserci anche una strategia di reshoring intelligente così da riallocare le imprese in Europa, oltre che per incrementare la produzione e gli investimenti e ricollocare la produzione in settori di importanza strategica per l’Unione” e della Risoluzione del 7 luglio 2021 [42], che “invita alla predisposizione di incentivi, anche sotto forma di disposizioni su misura in tema di aiuti di Stato, per le imprese europee per rendere la loro value chain più sostenibile e per accorciare o aggiustare le catene di approvvigionamento laddove ciò possa beneficiare l’economia dell’Unione Europea” [43]. Un aspetto a prima vista rilevante potrebbe riguardare la circostanza – peraltro oggetto di critica in ottica politica – che analoga agevolazione non spetti ad imprese italiane che avviano una nuova attività nel territorio [continua ..]


NOTE