Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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I trasferimenti di Non-fungible tokens della crypto-art nella disciplina dell´IVA e delle imposte sui redditi (di Roberto Iaia, Avvocato cassazionista in Padova e Milano. Cultore di Diritto tributario. Università degli Studi di Padova)


Negli ultimi anni, la circolazione dei Non-fungible tokens correlati a opere d’arte ha assunto particolare rilievo per la frequenza delle fattispecie di trasferimento e la loro rilevanza economica. Il contributo si propone di analizzare alcuni fra i principali profili nella disciplina dell’IVA, delle imposte sui redditi e alla luce delle nuove frontiere della cooperazione amministrativa internazionale.

Transfers of Non-fungible tokens of crypto-art in the discipline of VAT and income taxes

In recent years, the circulation of Non-fungible tokens related to works of art has become particularly important due to the frequency of transfers and their economic significance. The contribution aims to analyse some of the main profiles in the regulation of VAT and income tax and in the light of the new frontiers of international administrative cooperation.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. I crypto-assets e i NFTs nella normativa tributaria. Programma di indagine - 3. Profili oggettivi e soggettivi dell’IVA. La “abitualità” dell’attività economica - 4. Delimitazione del presupposto oggettivo e il principio di accessorietà - 5. La territorialità dell’imposta e il Reg. (UE) n. 282/2011 - 5.1. Le nuove prospettive della Direttiva (UE) 2023/2226 (“DAC8”) - 6. La natura dell’operazione di trasferimento - 7. La problematica determinazione dell’im¬ponibile IVA - 7.1. Le operazioni permutative - 8. Aliquota applicabile - 9. L’imposizione reddituale e la territorialità della fattispecie - 10. Le categorie di reddito e i proventi del trasferente - 11. I redditi diversi e la posizione dell’avente causa degli NFTs remunerati con cryptocurrency payments nel regime anteriore alla legge n. 197/2022 - 12. La legge n. 197/2022 e il regime dei crypto-assets ai fini delle imposte sui redditi - 13. La determinazione dell’imponibile in base al “valore normale” - 14. Criticità proprie della norma residuale in tema di redditi diversi - 15. La particolare disciplina della permuta per i redditi diversi - 16. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione

I c.d. Non-fungible tokens (“NFTs”) possono essere definiti alla stregua di “certificati” crittografici digitali, che recano elementi identificativi e codici informativi irripetibili e unici. In particolare, l’Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) li ha qualificati come “certificati digitali unici, registrati in una blockchain, utilizzati come mezzo per registrare la proprietà di un oggetto, come un’ope­ra d’arte digitale o un oggetto da collezione. Il termine non è inteso come l’elemento digitale in sé, bensì come il mezzo di certificazione” riferito all’opera stessa [1]. Non sono emessi da una pubblica autorità e attribuiscono al titolare il diritto di disporne, mediante una “chiave privata”, nella cornice di una blockchain (di regola, Ethereum), il più rilevante esempio di “tecnologia di registro distribuito” (“distributed ledger technology”: “DLT”). Risulta, così, definibile “una tecnologia che consente il funzionamento e l’uso dei registri distribuiti”, i quali sono archivi “di informazioni in cui sono registrate le operazioni e che è condiviso da una serie di nodi”, ossia dispositivi o applicazioni informatiche che sono parte di una rete, fra loro sincronizzati, “mediante l’utilizzo di un meccanismo di consenso” (da ultimo, v. art. 3, par. 1, nn. 1), 2) e 4) del Reg. (UE) 2023/1114, relativo ai mercati delle cripto-attività, c.d. “MiCA”: “Market in Crypto-Assets”) [2]. Sono correlati a protocolli di transazione computerizzati che danno corso all’esecuzione (dei termini) di contratti che si perfezionano in formato digitale, a prescindere dalla volontà delle parti (smart contracts). NFTs possono associarsi a opere delle arti figurative, cinematografiche, teatrali, musicali, letterarie, ecc. (c.d. “crypto-art”); assolvono alla funzione di attestare la titolarità digitale dell’opera stessa e, così, neutralizzano il pericolo di contraffazioni. A propria volta, l’opera artistica di riferimento può essere virtuale o materiale, originale o una creazione, anche nota, del passato (p. es., la riproduzione di un quadro antico o della partitura di un compositore classico [3]). In simili ipotesi, [continua ..]


2. I crypto-assets e i NFTs nella normativa tributaria. Programma di indagine

Fino alla legge di bilancio 2023, n. 197/2022, la normativa tributaria non aveva denotato una particolare attenzione alla materia. Nel settore della fiscalità, i contributi scientifico-accademici dedicati esclusivamente agli NFTs non sono molto numerosi e appaiono, soprattutto, dedicati ai profili IVA [6], a fronte, invece, di una maggiore attenzione ai crypto-assets in generale e, in particolare, alle criptomonete [7]. Per molti aspetti, anche dopo la legge n. 197/2022, risulta affidato all’interprete il compito di individuare le norme tributarie di riferimento alle quali sussumere le fattispecie in materia. Quanto ai Non-fungible tokens, con la Circolare n. 30/E del 2023, l’Agenzia delle entrate li ha inquadrati come cripto-attività che rappresentano “l’atto di proprietà e il certificato di autenticità scritto su catena di blocchi di un bene unico (digitale o fisico); gli NFT non sono quindi reciprocamente intercambiabili” [8] con chiara eco delle puntuali espressioni dell’EUIPO [9]. Tra le ipotesi meritevoli di attenzione, appaiono di peculiare interesse gli atti giuridici di trasferimento della piena disponibilità (e, dunque, del diritto all’utilizzo e alienazione) degli NFTs della cripto-arte, alla luce di alcuni, significativi risvolti che presentano ai fini della disciplina dei più rilevanti tributi del nostro ordinamento, sul piano sistematico e per la loro incidenza sul gettito complessivo: quelli reddituali e l’IVA. L’elaborazione ermeneutica sul genus dei crypto-assets è anzitutto maturata, sul piano storico, in relazione all’IVA e presenta riflessi significativi anche per la species degli NFTs della cripto-arte, in particolare per taluni profili afferenti alla remunerazione dell’atto traslativo. Tanto suggerisce di occuparci, anzitutto, del regime di tale imposta. Seguirà l’analisi di taluni aspetti dell’imposizione sui redditi, nell’assetto sia anteriore sia conseguente alla legge n. 197/2022, per trarre, infine, le conclusioni del percorso compiuto.


3. Profili oggettivi e soggettivi dell’IVA. La “abitualità” dell’attività economica

L’IVA è un tributo europeo: la disciplina fondamentale si rinviene nella Direttiva c.d. rifusa 2006/112/CE (v., in apicibus, l’art. 113 TFUE [10]). Pertanto, è all’ordi­namento sovranazionale cui è necessario guardare per un primo tentativo di inquadramento delle fattispecie in esame. Anzitutto, l’applicabilità dell’imposta postula che sia perfezionata un’operazione nella cornice di una “attività economica” (art. 9 della Direttiva2006/112/CE [11]) e, in specie, di un’attività d’impresa ovvero di arti o professioni (nella legislazione italiana, v. artt. 4 e 5 del d.P.R. n. 633/1972). Ne deriva che atti di trasferimento di tokens della cripto-arte da parte di un privato sono “out of scope”, completamente estranei all’orizzonte applicativo dell’IVA. Per ravvisare una “attività economica” e, così, assumere rilevanza nel sistema dell’IVA, gli atti traslativi di NFTs dell’arte virtuale devono essere perfezionati “a titolo oneroso”, “verso corrispettivo” (nell’ordinamento italiano, v. artt. 2, commi 1 e 3, comma 1 del d.P.R. n. 633/1972), avere “carattere di stabilità” (art. 9 della Direttiva cit.) e, dunque, essere oggetto di un’attività esercitata in modo “abituale” (artt. 4, comma 1 e 5, comma 1 del d.P.R. n. 633 cit.). Riguardo all’esercizio “abituale”, occorre considerare una recente sentenza di legittimità italiana maturata in ordine al concetto di “mercante d’arte”, per distinguerlo da altre figure “limitrofe”. In particolare, “va definito come mercante di opere d’arte colui che professionalmente e abitualmente ne esercita il commercio anche in maniera non organizzata imprenditorialmente – col fine ultimo di trarre un profitto dall’incremento del valore delle medesime opere”. La pronuncia distingue la figura da quelle dello “speculatore occasionale”, identificato in “chi acquista occasionalmente opere d’arte per rivenderle allo scopo di conseguire un utile” e dal “collezionista” ossia da “chi acquista le opere per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l’opera, senza l’intento di rivenderla generando una [continua ..]


4. Delimitazione del presupposto oggettivo e il principio di accessorietà

I tokens della virtual art risultano annoverabili fra i “beni giuridici” sul piano civilistico, in quanto entità suscettibili di essere “oggetto di diritti” (art. 810 c.c. [19]); anche al di là di simile inquadramento, non v’è dubbio che siano intangibles, privi di corporeità, di fisica materialità. La constatazione è molto importante per il sistema europeo dell’IVA, a vari fini. L’art. 14, par. 1 della Direttiva n. 2006/112/CE qualifica de jure come “cessioni di beni” le operazioni aventi ad oggetto il “trasferimento del diritto di disporre di beni materiali come proprietario” (“the transfer of the right to dispose of tangible property as owner”, “le transfert du pouvoir de disposer d’un bien corporel comme un propriétaire” “la transmisión del poder de disposición sobre un bien corporal con las facultades atribuidas a su propietario” nelle versioni ufficiali in lingua inglese, francese e spagnola). In via generale e residuale, l’art. 24 della stessa Direttiva comprende fra le “prestazioni di servizi” tutte le altre fattispecie e, dunque, anche le “cessioni” di beni privi di materialità, quali sono i NFTs. L’art. 25, par. 1, lett. a), precisa ulteriormente che “Una prestazione di servizi può consistere, tra l’altro,” nella “cessione di beni immateriali, siano o no rappresentati da un titolo” [20]. Fra i corollari della qualificazione del trasferimento di NFTs artistici fra le prestazioni di servizi, consideriamo quelli di rilievo generale. In primo luogo, si pone una questione di delimitazione del presupposto impositivo, sul piano oggettivo. Difatti, non sono considerate prestazioni di servizi le cessioni di diritti d’autore sulle opere d’arte da parte dei medesimi autori, dei loro eredi o legatari (art. 3, comma 4, lett. a), del d.P.R. n. 633/1972). Tale evenienza può presentarsi, naturalmente, per la cripto-arte ove il token sia correlato e strumentale a una creazione inedita e originale del titolare o di suoi successori, trasferita in associazione con il token stesso [21]. La correlazione e la strumentalità del gettone elettronico rispetto all’opus sottostante dischiudono un ulteriore, più ampio scenario. Quanto ai trasferimenti di NFTs in [continua ..]


5. La territorialità dell’imposta e il Reg. (UE) n. 282/2011

Definiti i lineamenti del presupposto, è necessario interrogarsi sulla base di quale regime nazionale e quale aliquota d’imposta sia applicabile, dato che le operazioni rilevanti ai fini del tributo sono quelle che si perfezionano “nel territorio dello Stato” (così, nella legislazione italiana, l’art. 1 del d.P.R. n. 633/1972). Le criticità si stagliano con immediata evidenza. Le operazioni relative alla cripto-arte (e ai crypto-assets in genere) si concludono fra soggetti che ricorrono sovente alla pseudonimia, sulla rete internet mondiale, a-territoriale in thesi [26]. Per giunta, i trasferimenti di NFTs sono, di regola, remunerati da monete virtuali; anche da questo punto, di vista è assai problematico individuare i collegamenti territoriali dell’operazione rilevante [27]. Le difficoltà diventano parossistiche qualora le parti del trasferimento non solo ricorrano alla pseudonimia in un contesto a-territoriale qual è internet, ma interpongano un sistema di “rete privata virtuale” (VPN: Virtual Private Network) fra i dispositivi (personal computer, telefoni mobili) e i siti web di navigazione, di modo che la connessione possa risultare da un altro Stato rispetto a quello effettivo, con l’im­possibilità di identificare perfino l’indirizzo di protocollo (IP: Internet Protocol) di riferimento e, così, la localizzazione e l’attività degli interessati [28]. Proprio dalla localizzazione, dipendono numerosi profili, fra i quali, anzitutto, quello ricordato della individuazione dell’aliquota applicabile, dal momento che, de jure condito, il processo di armonizzazione e integrazione europea è orientato a un avvicinamento delle aliquote, ora mediante la Direttiva (UE) 2022/542, ma non affatto a un identico regime in ordine ai tax rates, variabili da Stato a Stato del­l’U­nione. Riguardo alla territorialità, il tentativo ermeneutico non può prescindere dalla rilevata constatazione che, alla stregua della Direttiva 2006/112/CE, il trasferimento di NFTs artistici è sussumibile fra le prestazioni di servizi, stante l’immaterialità dell’oggetto. Ne deriva che il luogo di perfezionamento dell’operazione è quello di localizzazione del destinatario della prestazione (c.d. “destination principle”: artt. 44 e 58, par. 1 della Direttiva [continua ..]


5.1. Le nuove prospettive della Direttiva (UE) 2023/2226 (“DAC8”)

Proprio in materia di (individuazione della) territorialità dell’operazione, sembra dischiudere nuovi scenari la Direttiva (UE) 2023/2226, l’ottava delle più recenti sulla cooperazione amministrativa infra-europea (“Directive on administrative cooperation”: “DAC8”). L’intervento normativo muove dalla premessa che, ai fini dell’imposizione delle fattispecie relative ai crypto-assets in generale, si registra una profonda eterogeneità di norme e di indicazioni amministrative e, di per sé,”la natura decentrata delle cripto-attività rende difficile per le amministrazioni fiscali degli Stati membri garantire il rispetto degli obblighi fiscali” (considerando 6). La Direttiva traccia i lineamenti di un regime comune ad hoc di cooperazione fra gli stessi Paesi dell’Unione, per semplificare i controlli fiscali, alla luce delle peculiarità e a-territorialità dei crypto-assets, sulla base delle indicazioni desumibili da documenti di soft law dell’OCSE, in primis il “Crypto-Asset Reporting Framework and Amendments to the Common Reporting Standard” (“CARF”) del 2022. Il documento è, ora, recepito nella cornice degli International Standards for Automatic Exchange of Information in Tax Matters. Crypto-Asset Reporting Framework and 2023 update to the Common Reporting Standard dell’ottobre 2023, con l’obiet­tivo di uniformare nozioni e criteri di verifica a quelli in materia di antiriciclaggio, additati a livello internazionale da un organismo quale il Financial Action Task Force (“FATF”) [33]. Il CARF e la DAC8 riprendono la logica, comune a precedenti Direttive sulla cooperazione amministrativa, in particolare la2018/822 (DAC6), di coinvolgere i protagonisti della fattispecie di rilievo impositivo, attribuendo a loro obblighi di collaborazione con le amministrazioni fiscali nazionali, prima (e in funzione) dell’e­ventuale innesco di controlli tributari. Su questa strada, l’art. 1, n. 6 della DAC8 ha introdotto un nuovo art. 8 bis quinquies in seno alla prima Direttiva sullo scambio di informazioni 2011/16/UE (“DAC1”), in forza del quale i prestatori di servizi informatici, i c.d. “Prestatori di Servizi per le Cripto-attività” (“Reporting Crypto-Asset Service Providers”: “CASPs”) dovranno inviare, [continua ..]


6. La natura dell’operazione di trasferimento

Considerati i profili territoriali, si pone la delicatissima questione della individuazione della disciplina fiscale del trasferimento di tokens artistici a titolo oneroso, con peculiare riguardo al corrispettivo, quando ha ad oggetto monete virtuali e, soprattutto, ether come, sovente, si riscontra.  Per l’approccio ai relativi temi, è rilevante la celebre sentenza Hedqvist della Corte di Giustizia, la quale ha ritenuto applicabile l’esenzione per i cambi valutari (art. 135, par. 1, lett. e), della Direttiva 2006/112/CE cit.) anche alle operazioni (c.d. crypto-to-fiat) di exchange fra monete virtuali (nella specie, il bitcoin) e tradizionali (fiorino svedese) e viceversa [50]. La Corte si è dimostrata consapevole della irriducibilità giuridica delle criptomonete a quelle aventi corso legale ossia alle “valute”, in senso proprio e stretto, com’è, d’altronde, inevitabile stante il fatto che le prime, a differenza delle seconde, non sono (ad oggi) emesse dalla Banca Centrale Europea o da banche centrali degli Stati membri (art. 128 TFUE) e risultano inidonee ad assurgere a mezzo di adempimento delle obbligazioni pecuniarie, non fisiologicamente rifiutabile dal creditore (nella prospettiva italiana, v. art. 1277, comma 1, c.c.). Tuttavia, i giudici europei hanno valorizzato una sorta di assimilazione finalistica delle criptomonete alle valute fiat, ove ambedue assolvano alla funzione di strumento di pagamento di beni e/o servizi. Sul piano ermeneutico, una simile assimilazione sarebbe avvalorata da una apertura testuale della norma di esenzione nelle versioni linguistiche ufficiali inglese, finnica e italiana alla applicabilità a operazioni di cambio relative a monete tout court, non necessariamente aventi corso legale. La pronuncia rivela numerose criticità, sulle quali non è possibile indugiare particolarmente nell’economia del presente contributo [51]. In estrema sintesi, basti constatare che l’esegesi estensiva della Corte di Giustizia UE non trova, in realtà, alcun riscontro testuale nelle versioni linguistiche da essa considerate, le quali, invece e in vario modo, alludono a operazioni di cambio con monete aventi corso legale. Inoltre, ab imis, l’interpretazione estensiva confligge con la necessità di una lettura, all’opposto, restrittiva delle norme di esenzione, più volte additata dalla stessa Corte di [continua ..]


7. La problematica determinazione dell’im¬ponibile IVA

Anche a voler assecondare la prospettiva e i riflessi della Hedqvist doctrine, affiora un punctum pruriens: l’esatta commisurazione del corrispettivo, determinato in criptomonete. Allo scopo, si è fatto riferimento a parametri quali l’“open value market” o le “quotazioni private”, della rete internet, individuate dall’emittente la fattura e, quindi, nel nostro caso, dal soggetto trasferente NFTs della cripto-arte nell’alveo di una “attività economica” (art. 9 della Direttiva cit.). In proposito, l’art. 230 della Direttiva statuisce che gli importi fatturati possano “essere espressi in qualsiasi moneta”, purché l’IVA sia determinata nella valuta ufficiale dello Stato membro di perfezionamento dell’operazione attraverso il c.d. “meccanismo di conversione” di cui all’art. 91 della stessa Direttiva [56]. Tuttavia, a ben vedere, l’art. 91 non appare correttamente invocabile nel nostro contesto di riferimento. Vero è che il par. 1 della norma si riferisce apertis verbis a “elementi da prendere in considerazione ai fini della determinazione della base imponibile di un’operazione diversa da un’importazione di beni”, che “siano espressi in moneta diversa da quella dello Stato membro in cui è fatta la stima”; sicché, si potrebbe arguire che il trasferimento di NFTs verso criptomonete possa rientrare in tale ambito. È il par. 2 della regola a presentare non pochi ostacoli a un simile esito. Non appare praticabile il riferimento al “tasso di cambio applicabile” ossia alla “ultima quotazione lettera rilevata, nel momento in cui l’imposta diventa esigibile, sul mercato o sui mercati dei cambi più rappresentativi dello Stato membro” di collocazione territoriale dell’operazione “ovvero una quotazione determinata con riferimento a tale o tali mercati, secondo le modalità fissate da detto Stato membro”. Ammesso e non concesso che si riesca a individuare con facilità lo Stato di localizzazione della operazione [57], resterebbe pur sempre il fatto che la norma evoca un riferimento a monete tradizionali, le uniche quotate su mercati ufficiali negli Stati dell’Unione. Il comma 2, dello stesso art. 91, par. 2 della Direttiva apre la porta a un parametro alternativo: l’”ultimo [continua ..]


7.1. Le operazioni permutative

L’inesistenza di obiettivi e sicuri dati normativi di riferimento è acuita per gli scambi di diverse opere cripto-artistiche. Ai fini IVA, sarebbero senz’altro annoverabili fra le operazioni permutative: ciascun trasferimento costituirebbe corrispettivo in natura dell’altro (art. 11 del d.P.R. n. 633/1972 [59]). Sul punto, il case law europeo enfatizza il c.d. “valore soggettivo” ossia il corrispettivo che il soggetto trasferente (non l’avente causa) sarebbe disposto a pagare per il trasferimento stesso. In particolare, ai fini dell’art. 73 della Direttiva 2006/112/CE, dovrebbe rispecchiare “il valore realmente percepito e non un valore stimato secondo criteri oggettivi” [60]. Al contrario, la legge italiana è protesa verso criteri oggettivi, ove statuisce che l’imponibile delle operazioni imponibili sarebbe costituito “dal valore normale dei beni e dei servizi che formano oggetto di ciascuna di esse” (art. 13, comma 2, lett. d), del d.P.R. n. 633/1972). Non sembra un approccio armonico con l’ordinamento dell’Unione, il quale non generalizza affatto il ricorso al criterio del valore normale, ma lo circoscrive, in caso di opzione degli Stati membri, a fronte di “destinatari con cui sussistono legami familiari o altri stretti vincoli personali, gestionali, di associazione, di proprietà, finanziari o giuridici quali definiti” dal diritto interno (art. 80, par. 1 della Direttiva 2006/112/CE). Fra l’altro, la normativa italiana prescrive che, per “valore normale, si intende l’intero importo che (…) il committente, al medesimo stadio di commercializzazione di quello in cui avviene (…) la prestazione di servizi, dovrebbe pagare, in condizioni di libera concorrenza, ad un (…) prestatore indipendente per ottenere i (…) servizi in questione nel tempo e nel luogo di tale (…) prestazione” (art. 14, comma 1, del d.P.R. n. 633/1972). Sia il “valore soggettivo”, sia il “valore normale” sono insuscettibili di una sicura determinazione. Dal primo versante, non appare così agevole individuare il “valore soggettivo” che il trasferente il token artistico attribuirebbe alle monete virtuali, contropartita del trasferimento stesso. Non risultano solidi parametri di riferimento, anche da quelli indicati dalla diffusa opinione, qui criticata, che [continua ..]


8. Aliquota applicabile

Le difficoltà di individuazione di una disciplina normativa in ordine alla determinazione dell’imponibile colloca più sullo sfondo l’ulteriore questione dell’aliquota applicabile, comunque rilevante. Difatti, quand’anche si ritenesse de jure condito agevolmente commisurabile (come non è) il corrispettivo del trasferimento, emergerebbe il problema dell’appli­cabilità dell’aliquota ridotta al 10% (in luogo di quella ordinaria, pari, in Italia, al 22%), prevista per le operazioni afferenti, tra l’altro, gli “oggetti d’arte” (n. 127-septiesdecies della Tabella A, parte III, all. al cit. d.P.R. n. 633/1972). Per l’applicazione dell’aliquota agevolata, sono state espresse perplessità, dato che un NFT non rappresenterebbe di per sé un “oggetto d’arte” [62]. L’argomento sembra richiedere un approccio articolato e sensibile al diritto dell’Unione, stante la natura armonizzata del tributo. Da un lato, vero è che la riduzione dell’imposta al 10% denota una matrice agevolativa e, già in linea di principio, le norme agevolative presentino natura eccezionale, ut sic, di stretta interpretazione, come tali, insuscettibili di un’esegesi estensiva [63]. Dal versante contrario, a tutta prima, non sembrerebbe peregrina una lettura (non estensiva, quanto) evolutiva del concetto di “oggetti d’arte”, allineata al principio di accessorietà e all’evoluzione delle nuove tecnologie e dei mercati, aperta alla possibilità di concepire un’aliquota agevolata qualora il trasferimento riguardasse un token accessorio e “servente” rispetto a un’opera artistica cui si riferisse. In proposito, occorre considerare l’art. 103 della Direttiva, il quale ammette l’applicazione di aliquote ridotte per gli “oggetti d’arte” che siano stati importati (par. 1), per le cessioni effettuate dall’autore o dagli aventi diritto o a titolo occasionale da un soggetto passivo diverso da un soggetto passivo-rivenditore, quando gli oggetti d’arte siano stati importati dallo stesso soggetto passivo ovvero gli siano stati ceduti dall’autore o dagli aventi diritto o gli abbiano dato diritto alla detrazione totale del­l’IVA (par. 2, lett. a) e b). Per la definizione di “oggetto d’arte”, [continua ..]


9. L’imposizione reddituale e la territorialità della fattispecie

Molti dei profili considerati ai fini dell’IVA assumono rilievo, mutatis mutandis, pure per il sistema dell’imposizione sui redditi, a cominciare dalla territorialità. A questo specifico proposito, il regime delle imposte sui redditi è incardinato sul principio del c.d. utile mondiale (v., per l’IRPEF, art. 2 del d.P.R. n. 917/1986, recante il testo unico delle imposte sui redditi). Per il soggetto residente all’estero, in generale linea di principio, sono tassabili in Italia i redditi riferibili ad attività e/o a beni qui localizzabili (art. 23 del d.P.R. n. 917 cit.), salva l’operatività di prevalenti, difformi disposizioni sancite dalle convenzioni internazionali, ove applicabili [77]. Per intercettare la residenza del contribuente, non appare fruttuoso porre attenzione alla chiave privata, nota solo all’utente, espressa da una complessa stringa di caratteri alfanumerici che, in quanto tale, non rivela in sé una collocazione territoriale. Peraltro, se custodita in un e-wallet che trovi albergo nella rete internet (c.d. “hot wallet”) sarebbe, come tale, irriferibile a un luogo determinato [78]. Problemi non dissimili si impongono per i trasferimenti nel territorio dello Stato da parte di soggetti (quand’anche fossero identificabili e localizzabili come) non residenti. A priori di ogni riflessione circa la disciplina (convenzionale o domestica) applicabile, si porrebbe una questione. La chiave privata non sarebbe utile, anzitutto perché il tema investirebbe l’ubicazione del NFT. La chiave non è il NFT cui si riferisce il trasferimento; piuttosto, consente l’accesso all’utilizzo dell’asset digitale rilevante [79]. Di nuovo, quando non sia salvato su supporto fisico, “vive” nella rete internet mondiale, in sé, non territorialmente definibile. Semmai, i dati personali e, dunque, anche la residenza dell’utente dovrebbero essere noti al gestore della piattaforma che ospiti l’e-wallet, all’atto dell’apertura di esso. A tanto guarda la descritta disciplina della DAC8, in tema di cooperazione amministrativa, con le segnalate problematiche circa l’effettiva applicazione di essa, in punto di sicura veridicità, attualità e tempestività delle informazioni fornite, della previsione de jure condendo di un corredo sanzionatorio, idoneo e funzionale a tali [continua ..]


10. Le categorie di reddito e i proventi del trasferente

Fermo quanto dianzi rilevato, per i trasferimenti fiscalmente rilevanti in Italia, emerge una prima questione: la loro sussunzione alle singole categorie nelle quali si articola la disciplina, ciascuna caratterizzata da proprie regole [82]. La prima distinzione rilevante si radica sul concetto di “abitualità” del trasferimento, come ravvisato per l’IVA. Difatti, i proventi maturati da un atto di alienazione, puramente occasionale, di NFTs della cripto-arte sarebbero attratti al regime dei redditi diversi (art. 67, comma 1, lett. i), l), del d.P.R. n. 917/1986). Tuttavia, in proposito, si impongono le considerazioni espresse in merito alla giurisprudenza per i “mercanti d’arte”. In relazione ai tokens infungibili in questione, appare difficile escludere l’“abitualità” a fronte di reiterati trasferimenti mediante smart contracts della piattaforma informatica di riferimento. Alla stregua di tale giurisprudenza, deriverebbe l’attrazione al regime del reddito d’impresa [83] con gli stessi limiti rilevati, in ordine alla possibile applicazione della disciplina in tema di redditi di lavoro autonomo ove il carattere personale del­l’attività del contribuente fosse preponderante e qualificante rispetto all’organiz­zazione di cui si avvalesse (v., a contrariis, l’art. 55, comma 2, lett. a), del d.P.R. n. 917/1986 cit.). Nel contesto disciplinare dei redditi di lavoro autonomo, i proventi del trasferimento di tokens artistici sembrano annoverabili fra i “corrispettivi percepiti a seguito di cessione” di “elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale” (art. 54, comma 1-quater, del d.P.R. n. 917/1986). La latitudine della previsione normativa permette di sussumervi non solo ipotesi “tradizionali” quali la cessione del marchio o l’assunzione di obblighi di non concorrenza, ma, in genere, di qualsiasi intangible il cui trasferimento determini la percezione di un corrispettivo in valuta fiat o in natura [84] e, dunque, anche con criptomonete o altri NFTs come si riscontra per (la remunerazione de-)i gettoni della crypto-art. Vi è un ulteriore aspetto da considerare. Ai fini delle imposte sui redditi, detta giurisprudenza deve essere considerata da ulteriori angoli prospettici rispetto a quelli propri dell’IVA, ove rinvia a una distinzione [continua ..]


11. I redditi diversi e la posizione dell’avente causa degli NFTs remunerati con cryptocurrency payments nel regime anteriore alla legge n. 197/2022

Già prima della legge di bilancio 2023, la fattispecie traslativa poteva assumere rilevanza non solo per il soggetto trasferente gli NFTs (sotto specie di reddito di impresa, di lavoro autonomo, in caso di attività abituale, o diverso, in caso di attività occasionale), ma anche per il loro avente causa. Difatti, l’esegesi amministrativa italiana era arrivata ad accostare i tokens di pagamento alle valute estere, con l’imposizione della plusvalenza, quale reddito diverso, realizzata dalla cessione a titolo oneroso, cui è equiparato il prelievo dal deposito o conto corrente “a condizione che nel periodo d’imposta la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore a cento milioni di lire – n.d.r.: corrispondenti a 51.645,69 euro – per almeno sette giorni lavorativi continui” (art. 67, comma 1, lett. c-ter), e 1-ter, del d.P.R. n. 917/1986) [87]. Si tratta di una lettura criticabile, anzitutto perché la norma, certamente non concepita per i crypto-assets, ne sottende una insostenibile assimilazione alle valute estere, dato che le criptomonete di pagamento non sono “monete estere” né “nazionali”, poiché prive ab imis del rango di valuta oltre che di territorialità [88]. A voler calare tale erroneo approccio al nostro ambito di indagine, anche l’acquirente di NFTs artistici poteva essere tassato in relazione all’incremento di valore della criptomoneta, maturato nel tempo, utilizzata per il pagamento dello stesso token [89]. Ora, su tale assetto, la legge n. 197/2022 ha dettato una disciplina transitoria ad hoc. “Le plusvalenze relative a operazioni aventi a oggetto cripto-attività, comunque denominate, eseguite prima della data di entrata in vigore della presente legge” ossia anteriori al 1° gennaio 2023 [90], “si considerano realizzate ai sensi dell’articolo 67 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e le relative minusvalenze realizzate prima della medesima data possono essere portate in deduzione ai sensi dell’articolo 68, comma 5, del medesimo testo unico. Ai fini della determinazione della plusvalenza si applica l’articolo 68, comma 6, del [continua ..]


12. La legge n. 197/2022 e il regime dei crypto-assets ai fini delle imposte sui redditi

La riforma, veicolata dalla legge n. 197/2022, ha ritenuto di attingere solo la materia delle imposte sui redditi e non anche l’IVA, giacché tale tributo rientra sotto l’egida disciplinare europea, come dianzi rilevato [92]. Il legislatore è soprattutto intervenuto sulla disciplina dei redditi diversi, fra l’altro, con l’inserimento della nuova ipotesi normativa della lett. c-sexies) in seno all’art. 67 del d.P.R. n. 917/1986. Ai fini della nuova disciplina, “per ‘cripto-attività’ si intende una rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o una tecnologia analoga” (art. 67, comma 1, lett. c-sexies), cit., seconda proposizione del d.P.R. n. 917/1986, introdotta dall’art. 1, comma 126, lett. a), della legge n. 197/2022). La nozione non nasce dal caso, ma riecheggia definizioni normative, disseminate in diversi contesti disciplinari nel diritto dell’Unione, quali quelli dell’antirici­claggio [93] e, ora, del Reg. “MiCA” 2023/1114 [94]. Passiamo, dunque, ad analizzare alcuni aspetti tra i vari che contraddistinguono il nuovo regime. In rapporto alla ricordata nozione, sono tassate fra i redditi diversi, con effetto dal 1° gennaio 2023, “le plusvalenze e gli altri proventi realizzati mediante rimborso o cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di cripto-attività, comunque denominate, non inferiori complessivamente a 2.000 euro nel periodo d’imposta” (art. 67, comma 1, lett. c-sexies) del d.P.R. n. 917/1986, introdotto dall’art. 1, comma 126, lett. a), della legge n. 197/2022), con tributo sostitutivo del 26% (v. artt. 5 ss. del d.lgs. n. 461/1997 [95]). L’art. 67, comma 1, lett. c-sexies), presuppone la ricordata sussunzione dei crypto-assets in genere fra i beni giuridici (art. 810 c.c.), come altresì rilevabile dall’espe­rienza comparatistica [96]; la regola appare espressiva di un distacco dalla precedente, controversa interpretazione amministrativa, invece protesa ad accostarle alle valute estere [97], come osservato. Tuttavia, la nuova disposizione non sembrerebbe avere la prospettiva di una larga applicazione per i tokens infungibili della cripto-arte. In proposito, il precetto ha accostato la nuova ipotesi ai redditi (diversi) di [continua ..]


13. La determinazione dell’imponibile in base al “valore normale”

In primo luogo, per i redditi di impresa, di lavoro autonomo e diversi da attività occasionale, giova rammentare come gli NFTs artistici siano, di regola, remunerati non affatto in denaro tradizionale, bensì tramite altri crypto-assets (di solito, ether o altri NFTs). La stessa regola residuale dell’art. 67, comma 1, lett. c-sexies), guarda al “corrispettivo percepito”, qualora sia espresso in moneta tradizionale o al “valore normale”, nelle altre ipotesi. Nel sistema delle imposte sui redditi, il “valore normale” è ancorato al “prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi (…)” (art. 9, comma 3, del d.P.R. n. 917/1986). Il punctum pruriens affiora in tutta la propria evidenza. Come per l’IVA, mancano norme specifiche che consentano una obiettiva determinazione dei redditi da crypto-assets, a fronte dell’impossibilità di individuare un mercato di riferimento, piattaforme di scambio anziché altre, senza incorrere in scelte arbitrarie; per di più, appare arduo intercettare stabili e precisi ammontari di valori anche nell’arco di una stessa giornata [103]. Proprio alla luce dell’esigenza di commisurare reddito sulla base di parametri certi e obiettivi non appare soddisfacente, de jure condendo, calibrare tale determinazione su una media periodica di rilevazioni all’interno della piattaforma di scambio o su un sistema di rilevazione scelto ad libitum dal contribuente [104]. L’idea riecheggia l’elaborazione sull’art. 92 della Direttiva 2006/112/CE ai fini IVA e appare, ugualmente, non condivisibile, giacché ancora la quantificazione del­l’imponibile a opinabili scelte soggettive del contribuente come dell’agenzia fiscale che potrebbero, ad esempio, fare riferimento a una media di prezzi di una o più piattaforme, scelte in modo più conveniente per la propria posizione. Pare, invece, più corretto affidare al legislatore la previsione di [continua ..]


14. Criticità proprie della norma residuale in tema di redditi diversi

Ai problemi generali, ora descritti, si affiancano quelli peculiari, propri dell’art. 67, comma 1, lett. c-sexies). In primo luogo, la regola prevede il computo unitario di plusvalenze e minusvalenze nell’intero anno d’imposta, derivanti da tutte le fattispecie rilevanti, aventi ad oggetto cripto-attività [105]. Tanto sembra presupporre il perfezionamento di plurimi negozi generativi di simili componenti reddituali, il quale, tuttavia, ne determinerebbe l’attrazione alle altre categorie, testé ricordate, del reddito di impresa o di lavoro autonomo e, dunque, l’inoperatività in thesi della regola testé riprodotta, sancita per i redditi diversi. Inoltre, il regime nulla precisa circa la deducibilità di costi inerenti all’acquisto e alla cessione di crypto-assets e, dunque, nel nostro caso, degli NFTs. Sul punto, l’esegesi amministrativa ha negato la deducibilità sulla base di una lettura a contrariis dell’art. 68, comma 6, del d.P.R. n. 917/1986, in tema di plusvalenze “finanziarie”, ove ammette che “il costo od il valore di acquisto assoggettato a tassazione” sia “aumentato di ogni onere inerente alla loro produzione”. Il comma 9-bis dello stesso art. 68 non riproduce simile formula per le cripto-attività [106] e, dunque, entro tale cornice, (anche) per i tokens infungibili della crypto-art. Sul punto, si è criticata la distonia sistematica di un simile esito, anche perché lo stesso art. 68, comma 9-bis, all’ultima statuizione, esclude apertis verbis la deduzione di costi dai proventi ritratti dalla mera detenzione di cripto-attività e tanto dimostrerebbe che, al di fuori di tali ipotesi, si dispiegherebbe la generale deducibilità di oneri inerenti le altre fattispecie di rilievo impositivo per la lett. c-sexies) [107]. In effetti, a tutta prima, una lettura della norma che conducesse verso una generale indeducibilità di costi inerenti si porrebbe in contrasto con i principi di capacità contributiva e di ragionevolezza (artt. 53, comma 1 e 3, comma 1, Cost.), da que­st’ultimo punto di vista, anche alla luce del tertium comparationis del ricordato art. 68, comma 6. Parrebbe, dunque, plausibile sostenere che lo stesso art. 68, comma 6, ove statuisce la rilevanza di “ogni onere inerente alla produzione” dei redditi diversi di natura [continua ..]


15. La particolare disciplina della permuta per i redditi diversi

Il trasferimento di NFTs artistici darebbe luogo a redditi diversi, tassati “per cassa”, anche per l’avente causa dei tokens che remunerasse l’acquisto mediante ulteriori cripto-attività, quali sono senz’altro monete virtuali come ether, bitcoin, ecc., dato che sarebbe parimenti interessato dall’imposizione reddituale, ove, a propria volta, realizzasse “plusvalenze” o “altri proventi” dalla cessione di tokens di pagamento (art. 67, comma 1, lett. c-sexies), cit.). In sostanza, saremmo al cospetto di una permuta di crypto-assets eterogenei: NFTs verso moneta digitale e viceversa, espressiva di capacità contributiva (art. 53, comma 1, Cost.) in capo ad ambedue le parti. La disciplina assicura tale imposizione, giacché attrae a tassazione anche i “proventi” ritratti da “permuta” coinvolgenti cripto-attività; tuttavia, fa eccezione per quella tra “cripto-attività aventi eguali caratteristiche e funzioni”, la quale “non costituisce una fattispecie fiscalmente rilevante” (art. 67, comma 1, lett. c-sexies), terza proposizione, TUIR). Non v’è dubbio che NFTs artistici e monete digitali assolvano a funzioni nettamente distinte, almeno di regola. I primi sono associati a creazioni artistiche, opere dell’ingegno, con funzione certificativa della loro unicità; le seconde sono gettoni informatici con funzione di pagamento. Tuttavia, proprio l’eccezione testé considerata annida in sé rilevanti criticità. In primo luogo, i crypto-assets non sempre sono così agevolmente distinguibili sul piano funzionale. Sovente, rivelano caratteri ibridi quanto alla loro destinazione e possono mutare la loro morfologia nel tempo [117]. In rapporto a un quadro così articolato e composito, il testo normativo non definisce specificamente la portata di cosa siano le “eguali caratteristiche e funzioni” [118]. In ogni caso, uno scambio non necessariamente riguarda crypto-assets esprimenti un’identica redditività, a prescindere dalla circostanza che la fattispecie negoziale complessa riguardi tokens aventi “eguali caratteristiche e funzioni” (il trasferimento di una criptomoneta con la contropartita di un’altra criptomoneta: es.: ether per bitcoin [119] o di un NFT verso un altro NFT) oppure di diversa natura e funzione [continua ..]


16. Conclusioni

È possibile trarre le fila del percorso compiuto. Gli NFTs sono “gettoni” infungibili, con funzione di certificati digitali dell’au­tenticità di un bene giuridico “sottostante”, materiale o immateriale, che, nel settore artistico, può essere costituito da opere figurative, musicali, teatrali, cinematografiche, non necessariamente inedite in sé. Di particolare importanza è la ricostruzione della disciplina dei trasferimenti di simili cripto-attività. Nel sistema europeo dell’IVA, le fattispecie rilevanti possono riguardare solo i trasferimenti perfezionati in seno a un’attività economica (art. 9 della Direttiva 2006/112/CE), che è senz’altro ravvisabile a fronte di ripetute operazioni traslative tramite smart contracts. Qualora la fattispecie fosse accessoria e inscindibilmente connessa a un’opera artistica sottostante, ne seguirebbe il regime (“accessorium sequitur principale”). Così, il trasferimento a titolo oneroso di un NFT associato e accessorio a un quadro tradizionale è trattato come la cessione di quest’ultimo; diversamente, se ha ad oggetto un token in sé oppure un gettone prevalente sull’opera artistica sottostante o comunque correlato a un’opera digitale segue il regime delle prestazioni di servizi elettronici (artt. 24 della Direttiva e 7 del Reg. n. 282/2011). Simile inquadramento dà adito alla possibile applicazione del regime delle presunzioni di localizzazione del destinatario (previste dallo stesso Reg. n. 282/2011) che possono aiutare ad affrontare l’assai spinosa difficoltà di individuazione dello Stato di perfezionamento delle operazioni rilevanti, in thesi a-territoriali se concluse tramite la rete internet mondiale. Da questo punto di vista, può essere d’ausilio anche lo scambio automatico d’in­formazioni interstatuale, a seguito dell’adempimento degli obblighi di collaborazione preliminare, relativi pure alla identificazione e ubicazione delle parti del trasferimento, che l’OCSE, con il CARF e l’Unione europea, da ultimo con la DAC8, hanno posto a carico dei Providers di servizi elettronici di gestione di piattaforme che ospitano simili operazioni. Tuttavia, il percorso presenta comunque vari limiti. Vi sono operazioni che si concludono al di fuori di piattaforme e la DAC8 è applicabile solo in [continua ..]


NOTE