Nel quadro della tassazione di alcuni elementi del patrimonio, sono state introdotte l’imposta sul valore degli immobili situati all’estero (IVIE) e l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE). A dispetto delle intenzioni del legislatore, si sono prodotti alcuni disallineamenti tra i tributi che colpiscono la ricchezza detenuta in Italia e quelli che incidono sulla ricchezza detenuta in un Paese straniero. Diverse sono, infatti, le divergenze sul piano della tassazione che attengono alla misura dell’imposizione, ai beni da assoggettare a tassazione, alla determinazione della base imponibile nonché all’individuazione dei soggetti passivi. Si tratta di divergenze che discriminano gli investimenti all’estero rispetto a quelli detenuti in Italia e che non sembrano trovare giustificazione ragionevole nei principi costituzionali di eguaglianza e di capacità contributiva, né nei principi comunitari di non discriminazione, di libertà di circolazione dei capitali e di libertà di stabilimento.
Critical remarks from a constitutional and european perspective on taxation of real properties and financial assets held abroad Within the framework of taxation of certain assets, the Italian legislator has introduced the tax on the value of foreign real properties (IVIE) and the tax on the value of financial assets held abroad (IVAFE). Despite its intentions, some misalignments have occurred between the taxation on assets held in Italy and the one on assets held in a foreign country. In fact, there are several differences between various national systems related to tax measures, property to be taxed, tax base and taxable persons. These differences discriminate the investments abroad compared to those held in Italy and they do not seem to find reasonable justifications neither in the constitutional principles of equality and ability to pay, nor in the European principles of non-discrimination, free movement of capital and freedom of establishment.
1. IVAFE e IVIE nel quadro delle imposte patrimoniali speciali istituite dal legislatore
Con il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella L. 22 dicembre 2011, n. 214, enfaticamente denominato decreto «Salva-Italia», il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento due tributi aventi una chiara connotazione patrimoniale, denominati imposta sul valore degli immobili situati all’estero (IVIE) e imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE), disciplinati rispettivamente dai commi 13-17 e 18-22 dell’art. 19 del decreto.
Essi si inseriscono in un quadro più ampio di prelievi che mirano a colpire la ricchezza nella sua conformazione di stock, il cui presupposto non contempla né la produzione, né il consumo, né il trasferimento della stessa, ma si incentra sul possesso di alcuni elementi patrimoniali – beni di lusso [1], attività finanziarie [2] e immobiliari [3] – il quale (possesso) talvolta si combina con altri eventi cui il legislatore attribuisce rilevanza ai fini della nascita dell’obbligazione tributaria.
Si tratta di un quadro che, come ho già avuto modo di evidenziare [4], presenta più ombre che luci, nel quale l’urgenza di far fronte ad una situazione emergenziale probabilmente è alla base di una serie di carenze sotto il profilo della razionalità e della coerenza dei prelievi introdotti, considerati sia singolarmente che nell’insieme, e sulla compatibilità degli stessi rispetto al principio della capacità contributiva [5].
Carenze che si aggiungono alle valutazioni critiche che tradizionalmente si appuntano sull’opportunità di istituire tributi sul patrimonio, in considerazione della loro sovrapponibilità rispetto all’imposizione reddituale, dell’incremento del livello complessivo del carico fiscale e dei rischi connessi all’effetto espropriativo che può derivare dalla tassazione dei patrimoni improduttivi [6].
Ed invero, oltre a tali considerazioni, mi limito qui a sottolineare, in sintesi, come la scelta operata dal legislatore di “parcellizzare” il patrimonio e di inserire singoli assets nel presupposto di singoli tributi, caratterizzati da criteri di quantificazione differenti dell’importo dovuto (sia quanto alla base imponibile, sia quanto all’aliquota), si risolva in una discriminazione dell’imposizione sulle diverse tipologie di beni [7], che non sempre trova giustificazione in termini di attitudine alla contribuzione, nel senso che la diversa imposizione non sempre trova corrispondenza in una diversa idoneità dei singoli beni ad esprimere la forza economica del soggetto.
Più in generale, non mi pare ragionevolmente giustificabile in termini di capacità contributiva [continua..]